In questo breve articolo, tenterò di proporre qualche riflessione generale sulle tematiche relative all’emergenza ambientale e al cambiamento climatico ed a illustrare le mie posizioni in merito.
L’EMERGENZA
Non possiamo consegnare ai nostri figli un pianeta divenuto ormai incurabile: il momento di agire sul clima è questo
(Barack Obama, agosto 2015)
C’è chi (scienziati, ma anche attivisti politici) sostiene da anni che l’attuale modello di sviluppo economicista, capitalista, liberista, basato sul consumo forsennato di risorse naturali e sulla combustione degli idrocarburi, che la nostra disgraziata specie ha costruito, ha condotto ad una spirale autodistruttiva, portando il nostro pianeta sull’orlo di un collasso ecologico e climatico. Finalmente, dopo che l’Australia è andata in fiamme e che una ragazza ha indotto molti studenti a manifestare (o saltare qualche giorno di scuola? Approfondirò l’argomento più avanti), l’opinione pubblica si sta sommessamente svegliando, ma troppo tardi.
Negli ultimi anni, sempre più spesso, si sono verificati eventi meteorologici e climatici anomali e per certi versi estremi (aumento della potenza degli uragani negli Stati Uniti, ondate di caldo anomalo in Thailandia, piovosità estremamente intensa in Cina, ecc.), anche nel nostro paese (si pensi alla siccità anomala che ha provocato una ondata di incendi boschivi in autunno, o il cosiddetto “Buran” che ha portato un’ondata di freddo eccezionale, la quale, anche se può sembrare strano, è stata provocata da un riscaldamento eccessivo del polo, in quel sistema così complesso che è il Clima). Questi eventi sono in qualche modo ascrivibili al riscaldamento globale (la primavera 2017 è stata la terza più asciutta dal 1800 ad oggi, con un’anomalia di +1,9 °C) che provoca un aumento dell’energia nell’atmosfera e che ha, in gran parte, origine antropica, in particolare è causata dell’emissione di gas serra nell’atmosfera. Infatti, quest’ultima non è riscaldata direttamente dalla radiazione solare incidente, perché questa ha lunghezze d’onda troppo piccole e si limita a riscaldare la crosta terrestre che rilascia radiazione di lunghezza d’onda maggiore (infrarosso) la quale, a sua volta, riscalda l’atmosfera. Tale radiazione viene poi dispersa nello spazio, ma i gas serra hanno l’effetto di trattenere parte di questa energia: maggiore è la concentrazione di gas serra, maggiore è la quantità di energia trattenuta e maggiore è il riscaldamento dell’atmosfera (in particolare la troposfera). Certo, questi gas sono anche fondamentali per permettere la vita sulla Terra, perché in loro assenza, la temperatura media si attesterebbe sui -18 °C. Ma, a partire dalla rivoluzione industriale, gli effetti antropici hanno iniziato ad alterare gli equilibri. Vari studi confermano che la Terra assorbe dal Sole più energia di quella che rilascia nello spazio, una differenza nell’ordine di 0,85 W/m2 (watt per metro quadrato). Nel corso dell’ultimo secolo sembra che la temperatura media globale sia aumentata di un valore compreso fra 0,6 e 1 °C. Il livello e la temperatura medi dei mari sono cresciuti, quasi tutti i ghiacciai del mondo si stanno ritirando, i deserti si stanno espandendo e, come abbiamo detto, i fenomeni atmosferici estremi stanno, purtroppo, diventando assai frequenti. I principali gas serra sono il vapore acqueo, l’anidride carbonica (prodotta in grande quantità, perché deriva pressoché da ogni tipo di combustione, tra cui quella dei combustibili fossili), il metano, gli alocarburi, il protossido d’azoto, l’ozono.
C’è poi il problema dell’inquinamento, quindi l’impatto ambientale sulla salute umana e animale. L’aria malsana, secondo l’OMS, è il fattore ambientale di maggiore rischio per la salute umana, responsabile di circa 7 milioni di decessi nel mondo, ossia il 12% del totale delle morti premature. In Italia, l’inquinamento atmosferico, provoca ogni anno circa 85000 decessi (il peggiore dato a livello europeo), a causa delle micropolveri sottili, il biossido di azoto, l’ozono, l’ammoniaca, il metano (una buona parte deriva dall’industria della carne, che produce il 65% del protossido d’azoto emesso in atmosfera e il 44% del metano). Secondo uno studio dell’ENEA, l’inquinamento accorcia la vita di ciascun italiano di 10 mesi in media (la pianura padana, in particolare, è una camera a gas, l’area più inquinata d’Europa) e il danno è anche economico (ad esempio in termini di giornate di lavoro perso e di interventi sanitari, per una perdita di ricchezza nazionale del 4,7% di PIL). Questi fattori causano molti più morti in un anno di quanti, probabilmente, ne provocherà il coronavirus.
Infine, c’è un problema strettamente connesso all’approvvigionamento. Lo sviluppo economico straordinario che sta interessando una gran numero di paesi fino a ieri considerati del “terzo mondo” porta con sé una sempre maggiore domanda di energia da parte di questi paesi e la parallela diminuzione, sempre più rapida, delle risorse energetiche non rinnovabili, il che dipinge uno scenario molto fosco. Se non si inverte la tendenza, si rischia di marciare verso una crisi energetica, dal momento che le riserve di idrocarburi andranno in esaurimento nei prossimi decenni (si stima che le riserve di petrolio dureranno per circa 70 anni), così come quelle di combustibile nucleare (si stima che le riserve di Uranio potrebbero durare da 55 a 85 anni, sempre che il numero di reattori non aumenti). A quel punto, a meno che non si sia stati in grado di convertire l’approvvigionamento energetico su fonti di energia rinnovabile, si rischia di incorrere in una crisi che provocherà una catastrofe sociale ed economica (probabilmente causando guerre, migrazioni, carestie, epidemie, ecc.) che potrebbe comportare un arretramento sostanziale del livello di sviluppo della nostra società facendola retrocedere sensibilmente e riportandola ad un’economia tale per cui la potenza che saremo in grado di consumare non potrà essere superiore a quella estraibile dal Sole.
Dovrebbe essere, pertanto, chiaro a tutti che il contrasto dei fattori inquinanti, la tutela dell’ambiente, del clima, della salute e della biodiversità dovrebbero essere prioritari rispetto anche a tematiche pure importanti come economia e occupazione e dovrebbero essere la principale priorità per qualsiasi partito o qualsiasi governo. Eppure, soprattutto in Italia, la tematica ambientale è (o era) quasi assente dal dibattito pubblico, perché non porta consenso immediato.
Questa tendenza va invertita ed è assolutamente imprescindibile uno scatto in avanti, un atto di coraggio che aggredisca in modo sostanziale le suddette problematiche.
Le fonti dell’inquinamento atmosferico e dell’emissione di gas serra possono essere le più diverse e non tutte sono di origine antropica, cionondimeno si possono raggruppare, sostanzialmente, in
- Traffico veicolare.
- Riscaldamento domestico
- Agricoltura
- Artigianato ed industria e, in quest’ultima categoria, annoveriamo anche la generazione di energia.
LE CAUSE SOCIO-ECONOMICHE
L’ossessiva ricerca del “segno più” davanti al prodotto interno lordo sembra essere l’unico obiettivo per il futuro, tutto il resto è secondario.
(Luca Mercalli)
Che cosa è che impedisce alla nostra società di evolversi verso un modello ambientalmente sostenibile?
Il vero nemico dell’ambiente e del clima non sono le emissioni, ma il capitalismo (e le sue dottrine politiche, come il liberismo, l’economicismo, il culto dello sviluppo e del PIL), quello stesso demone che ha prodotto un mondo dominato dalle diseguaglianze sociali, un mondo dove le uniche linee guida sono il mercato ed il profitto, a al diavolo i diritti sociali, ambientali e il benessere collettivo.
Gli esperti sono tutti concordi che la lotta di classe è finita, perché l’hanno vinta i padroni. Nel momento in cui sono crollati i regimi comunisti ed è sparito lo spauracchio della “rivoluzione armata” (per fortuna), ha cominciato a imporsi il pensiero unico della “crescita”, della privatizzazione, del profitto, dell’economia. I politici, ormai, parlano solo di sviluppo, di conti pubblici, di PIL e quasi niente di diritti, salari e, appunto, ambiente. L’economia è il motore di tutto, la madre di qualunque scelta politica (badate che non si tratta affatto di una costante della Storia, ma, come osserva Alessandro Barbero, di un tratto caratteristico della nostra epoca)! Nessun partito, ormai, ha il coraggio di mettere in discussione questi dogmi e di proporre l’evoluzione verso un modello socio-economico diverso. Finché questo non accadrà, non sarà possibile implementare delle vere politiche per l’eguaglianza sociale e la sostenibilità ambientale ed allora sarà troppo tardi!
E quindi, è il nostro stesso modello di sviluppo economicista, basato sul profitto, sulla dittatura dell’economia e del mercato, PIL-centrico, dominato dalla dottrina dello sviluppo economico illimitato il vero nemico del clima e dell’ambiente, come ci spiega questo articolo, di cui mi permetto di citare qualche passaggio:
“Che la crescita infinita in una biosfera finita sia un controsenso, lo sappiamo dal 1972, quando un gruppo di giovani scienziati del Massachussets Institute of Technology ha pubblicato il rapporto I limiti dello sviluppo, spalancando un dibattito mondiale sull’ambiente. Tuttavia, è bastato fingere di accogliere i loro rilievi creando i concetti di “sviluppo sostenibile” e “crescita verde” per frenare la carica trasformativa di quell’allarme. Le istituzioni hanno riconosciuto i rischi ambientali della crescita a tutti i costi, consentendo però al sistema economico di non cambiare le sue logiche. Si è diffusa la narrazione in base alla quale, investendo in efficienza, il PIL potesse continuare a salire, mentre l’impatto climatico e ambientale della produzione sarebbe sceso. Tutto questo non è mai avvenuto e l’ultimo rapporto dello European Environmental Bureau (EEB), una rete di oltre 143 organizzazioni con sede in più di 30 Paesi, dimostra che nel futuro non ci sono segnali di un disaccoppiamento fra crescita economica ed impatto ambientale. Il team internazionale di ricercatori che ha lavorato per l’EEB ritiene prioritario non più aumentare, ma ridurre la produzione di beni e servizi, soprattutto nei paesi ricchi. L’efficienza è importante, ma più importante dev’essere la sufficienza. In parole povere, dobbiamo recuperare un senso del limite individuale e collettivo.
Il dossier apre una crepa nella narrazione granitica sulla “crescita verde”, abbattendo il pilastro del disaccoppiamento che la sorregge. Per comprendere quanto sarebbe radicale l’introduzione del concetto di sufficienza come faro del policymaking, basti pensare che – se gli esperti dell’EEB hanno ragione – tutte le politiche ambientali e climatiche andrebbero ripensate, così come le politiche economiche ad ogni livello. Le istituzioni internazionali e i governi dovrebbero indirizzare l’economia su binari ecologici, riducendo la scala della produzione, del commercio e dei consumi. Praticamente un’inversione a U dalla globalizzazione così come la conosciamo. Un’operazione estremamente difficile anche soltanto a livello semantico, dal momento che l’idea della “crescita verde” e della sua capacità di slacciare il progresso economico dal degrado ambientale ha innervato tutti i documenti di visione delle principali istituzioni mondiali negli ultimi vent’anni.
[…]
Secondo i ricercatori dell’European Environmental Bureau, che hanno condotto la prima analisi di tutta la letteratura empirica e teorica sul tema, «non solo non ci sono prove empiriche a sostegno dell’esistenza di un disaccoppiamento della crescita economica dalle pressioni ambientali in misura anche solo vicina a ciò che servirebbe per affrontare il collasso ambientale, ma, e forse è ancora più importante, sembra improbabile che tale disaccoppiamento si verifichi in futuro». Il rapporto arriva a queste forti conclusioni partendo da un assunto: la validità del discorso sulla “crescita verde” presume un disaccoppiamento globale, assoluto e permanente, ampio e abbastanza rapido della crescita economica da tutti gli impatti negativi sull’ambiente. In tutti i casi considerati – materie prime, energia, acqua, gas serra, terra, inquinanti idrici e perdita di biodiversità – il disaccoppiamento è solo relativo, temporaneo o localizzato. È successo nel 2007-2008 per la crisi economica e nel 2015-2016, come si legge da entusiastici rapporti dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) poi rivelatisi fuochi di paglia. La Cina stava spostando una parte significativa della produzione energetica dal carbone all’oil&gas, mentre gli Stati Uniti accrescevano la quota di gas nel mix energetico. Ben presto, però, completata la transizione, economia ed emissioni sono tornate ad accoppiarsi (+1.6% di CO2 nel 2017 e +2.7% nel 2018). Prendendo altri casi settoriali in cui il disaccoppiamento dovrebbe verificarsi, il rapporto rivela che non si è mai vista una forbice, anzi. Per quanto riguarda i flussi di risorse minerali e organiche estratte dall’ambiente, ad esempio, nei paesi OCSE l’accoppiamento stabile fra loro uso e crescita è evidente. La cosiddetta material footprint è aumentata del 50% fra il 1990 e il 2008 registrando un +6% di utilizzo ogni +10% di PIL. A dirci che siamo già in forte debito con l’ecosistema sono anche i numeri assoluti: per essere ecologicamente sostenibili, dovremmo limitare il consumo di risorse a circa 50 miliardi di tonnellate l’anno. Già nel 2009, però, questo numero era a 67,6. Il rapporto dimostra come l’entusiasmo dei sostenitori della “crescita verde” sia frutto di «una sostanziale finzione statistica».
L’idea della crescita sostenibile, quindi è una illusione d’interesse, il vero obbiettivo dovrebbe essere frenare la crescita economica e ridistribuire le risorse.
Difficile trovare qualcuno più convinto di me della necessità imperativa di una svolta che richiede di mettere seriamente in discussione interessi consolidati fortissimi e la dottrina della crescita economica permanente.
FRIDAY FOR FUTURE
“La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
( Giorgio Gaber)
Premetto che è sempre positivo quando la gente manifesta e si fa sentire, perché questo fornisce rilevanza mediatica al tema per cui si manifesta, aumentandone il consenso. Tuttavia, agli amici di Greta Thunberg occorrerebbe spiegare che non è sufficiente saltare qualche venerdì di scuola per andare a manifestare, ma occorre fare pressione là dove si generano i processi politici.
A costo di passare per il solito prof. antipatico, musone, vecchio stile, sospettoso, riterrò più credibile questo genere di manifestazioni, quando verranno svolte in orario extracurricolare, sottraendo tempo, non alle lezioni, bensì al tempo libero, alle uscite con gli amici, alle discoteche, ecc. (guarda caso, quando si è fatta di pomeriggio, persino in presenza di Greta Thunberg, c’erano pochissime persone).
Inoltre, cari ragazzi, vi dico che le manifestazioni di piazza possono essere belle, divertenti e colorate, ma la sola via per ottenere dei risultati è quella istituzionale: pertanto, invece di scendere in piazza per poi disertare sistematicamente le urne, entrate nelle sedi dei partiti, iscrivetevi in massa, candidatevi, votate, battete i pugni, combattete dall’interno, in modo da costringere i vostri rappresentati istituzionali a portare avanti quelle giuste politiche che voi invocate!
CONCLUSIONI
Gli uomini discutono. La natura agisce.
(Voltaire)
Da questo ragionamento, ritengo di poter trarre le seguenti riflessioni.
- Occorre passare dalla dottrina della crescita economica a quella della sufficienza: stabilizzare il consumo di risorse, limitando gli spostamenti (per esempio, incentivando il telelavoro) e l’uso del mezzo privato (la maggior parte delle auto in giro per la città deve sparire, così come occorre limitare l’utilizzo degli impianti di riscaldamento). Il maggiore peso di tutto ciò deve essere allocato sui processi produttivi, in modo di evitare un regresso sociale: non credo in certe dottrine della decrescita felice, per cui bisogna farsi le cose a casa, sottraendo tempo allo studio, al tempo libero, ecc. Occorre, piuttosto, una cultura dell’essenzialità che limiti il superfluo.
- Occorre che il peso economico di questa mancata crescita ricada nella maggior misura possibile sui soggetti più abbienti, nell’ottica di una redistribuzione economica e sociale.
- L’ambiente è un sistema complesso, integrato e quando si va a toccare un elemento, non è detto che il problema non si sposti o addirittura si aggravi. Pensiamo ai veicoli elettrici: è vero che essi non hanno emissioni dirette e possono contribuire a decongestionare l’aria nelle città, ma l’elettricità non è una fonte di energia, va in qualche modo generata e se viene generata coi combustibili fossili, siamo al punto di partenza, il problema si sposta soltanto; inoltre, occorre considerare l’impatto ambientale della produzione e smaltimento delle batterie. Urge quindi valutare l’impatto ambientale complessivo di una politica od una tecnologia, considerando, ad esempio, il problema dell’energia grigia, ossia dell’energia necessaria per estrarre la materia prima, trasportarla, lavorarla e smaltire il prodotto finito. Pertanto, qualunque scelta politica si compia, deve passare per uno studio scientifico rigoroso dell’impatto ambientale che avrà quella politica, considerando tutti gli aspetti, utilizzando indicatori numerici affidabili come la material footprint (impronta ecologica). In questo senso, si deve lavorare ad una transizione dall’economia lineare, verso l’economica circolare (secondo la definizione della Ellen MacArthur Foundation, economia circolare «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera»).
- Non ci si può illudere che basti fare pagare il peso della mancanza di crescita sui più ricchi. Occorre indurre, gli italiani, TUTTI, a cambiare completamente le loro abitudini, imponendo misure draconiane, modificare profondamenti gli stili di vita.
Ecco qualche esempio, senza presunzione di completezza.
- Dovremo, ad esempio, abituarci a spostarci un po’ meno per il mondo (invece di andare in vacanza a Sharm el-Sheikh, potremmo riscoprire la cara vecchia Liguria).
- Togliere un grosso numero di veicoli per strada (magari tassando ulteriormente il carburante o addirittura, tramite localizzatori GPS, imponendo una tassa sullo spazio percorso, investendo il ricavato sui mezzi pubblici e sulla mobilità ciclabile), in particolare per spostamenti brevi, andando dal panettiere a piedi, invece che in auto, migliorando la mobilità ciclabile e incentivando il telelavoro (secondo i dati ISTAT, la media degli spostamenti a Torino è di circa 3 km, il 42% dei quali è percorso in auto!)
- Incentivare in tutti i modi possibili la mobilità alternativa, tramite mezzi pubblici elettrici e soprattutto la ciclabilità. In particolare, le città devono essere ripensate completamente, in particolare per tutto ciò che concerne la mobilità alternativa (interessante la proposta dell’associazione LAQUP, che ho contribuito a stilare) e l’uso degli spazi pubblici.
- Ridurre il riscaldamento domestico sia rispetto alla temperatura, sia al periodo: occorre abituarci a non avere sempre 26° in casa in pieno inverno e limitarci ad utilizzare il riscaldamento da novembre a marzo.
- Dovremo accettare di pagare un po’ di più alcuni prodotti e quindi a rinunciare a qualche comodità. In particolare, gli imballaggi devono diventare biodegradabili e quindi più costosi.
- Costruire elettrodomestici composti da parti facilmente sostituibili, eliminare completamente l’obsolescenza programmata (misura che credo sarebbe molto apprezzata dai consumatori, un po’ meno dalle aziende).
- Consumare un po’ meno prodotti alimentari che vengono dall’altra parte del mondo (occorre incentivare i produttori locali come già fanno molte botteghe di equo e solidale e Gruppi di Acquisto Solidale che vanno, parimenti, sostenuti) e ridurre sensibilmente il consumo di carne (l’industria della carne, oltre ad essere moralmente riprovevole è responsabile del 15% del totale di tutte le emissioni di gas a effetto serra di origine antropica, soprattutto protossido di azoto e metano, il più pericoloso in assoluto e provoca lo sfruttamento del 76% dei terreni agricoli per i pascoli).
- Bloccare completamente il consumo di nuovo suolo se non in casi assolutamente eccezionali, rinaturalizzare zone di suolo consumato piantando alberi.
- Abolire la caccia, limitare gli allevamenti di cani e gatti inducendo le persone ad adottare.
- Convertire l’intera produzione di energia elettrica ed almeno parte di quella termica su fonti a emissione 0, realizzando al contempo le Comunità Energetiche (ne parlo in questo articolo). Ovviamente, bisogna stimolare la ricerca di tecnologie a bassissimo impatto ambientale.
RICCARDO TASSONE