Premessa
Prima di affrontare questa trattazione, ritengo doveroso fare una premessa: io mantengo un’idea molto “tradizionale” di scuola. Credo fortemente che il modello di istruzione che sussisteva prima della raffica di riforme degli ultimi vent’anni (ma non è solo un problema di riforme, sia chiaro) fosse preferibile e che formasse cittadini migliori rispetto ad oggi (almeno, questa è la sensazione, confrontando i livelli culturali ed educativi della generazione dei miei genitori, della mia e di quelle attuali). Ma anche senza andare troppo indietro nel tempo, quando mi sono diplomato io (2001), le cose erano molto diverse da adesso. La scuola era molto più seria, il livello didattico ed educativo era imparagonabile rispetto ad oggi (basta leggere un libro di testo di allora ed uno di adesso). La figura dell’insegnate godeva di ben altro rispetto, era molto meno gravata da inutile burocrazia (tornerò su questo punto) e gli studenti si approcciavano in modo completamente diverso: c’era la consapevolezza che la scuola era un luogo dove occorreva tenere determinati comportamenti ed il docente andava trattato come un figura depositaria di un certo grado di autorità, cui si dove un alto livello di rispetto. Se si “sgarrava”, arrivava la sanzione! Mai, all’epoca, sarebbe accaduto che, durante la lezione, mentre il docente spiegava, uno studente interrompesse di punto in bianco le lezione, uscendosene con frasi del tipo “professore, lei è vergine?” oppure “prof., lei è napoletano?”. Era la scuola (perdonerete la rudezza del linguaggio) dei “calci nel didietro”, non dei “principini” come quella di oggi, dove gli studenti sono considerati alla stregua di oggetti di cristallo. In questo, purtroppo, hanno una responsabilità enorme le famiglie: quando lo studente deviava dalla retta via, i genitori erano alleati dell’insegnate, nel sanzionare e contrastare il di lui comportamento, mentre oggi i ragazzi indisciplinati o, semplicemente, che ottengono risultati non adeguati, sono spalleggiati dai genitori, che, invece, attaccano il docente. È venuto meno qual fondamentale “patto educativo” fra famiglie ed insegnati, senza il quale la scuola non può funzionare in modo corretto. E non mi pare che coloro che si sono diplomati ai miei tempi e prima, siano usciti così male, no?
Il risultato di tutti ciò è che stiamo forgiando una generazione di cittadini non cittadini, spesso incapaci di “stare al mondo”, rispettare le regole della società civile e di interpretare correttamente la realtà (tornerò su questo punto più avanti); si è di fronte ad un’emergenza educativa enorme e questo è probabilmente in gran parte causa dell’imbarbarimento culturale e morale che sta destabilizzando la nostra società e che è probabilmente la fonte di gran parte dei suoi problemi.
Dovremmo tornare a quel tipo di impostazione, in cui, semplicemente si seguiva quello che il lessico suggerisce: “lo studente” deve “studiare”, l’”insegnate” deve “insegnare”. Punto!
La “Buona Scuola”
Fatta la suddetta premessa, veniamo al tema in questione. L’”Alternanza Scuola-Lavoro”, in base alla mia esperienza, è l’aspetto peggiore di quella terrificante legge che è stata provocatoriamente definita la “Buona Scuola”, provvedimento che presenta innumerevoli criticità, fra le quali:
- Gli insegnati sparati per tutta Italia, allontanati dalla loro città e dalle loro famiglie.
- I poteri eccessivi ai presidi (sebbene, finora, questo aspetto si sia rivelato contenuto).
- Presenza, nel comitato di valutazione, di genitori e studenti (un assurdo visto il genere di atteggiamento che questi due soggetti mostrano nei confronti dei docenti).
Cui vanno aggiunte le successive alzate d’ingegno.
- Eliminazione della terza prova, sostituita da una relazione sull’Alternanza. Questo nuovo esame di stato, va nella direzione opposta a quella verso cui si dovrebbe andare. Se l’idea di dare un po’ più di peso al credito scolastico può avere senso, perché è giusto che nella valutazione finale si tenga anche conto dell’impegno e dell’apprendimento nel corso di tutto il percorso di studi, l’idea di eliminare la terza prova, diminuire il punteggio dell’orale e introdurre la relazione sull’alternanza va nella direzione di limitare le conoscenze degli studenti. Perché, a questo punto, gli studenti studieranno meno, è inevitabile!
- La sperimentazione del liceo di 4 anni (una cosa semplicemente folle).
- La follia della, di fatto, abolizione della bocciatura ad elementari e medie!!!
Non nego di essere estremamente a disagio nel registrare il fatto che il MIO PARTITO porti avanti tali politiche di destrutturazione della conoscenza in Italia.
Il “Lavoro è retribuito”
Ebbene, di tutte queste idee alquanto balzane la peggiore (a parte forse le ultime due) si è rivelata essere proprio l’alternanza.
Perché?
C’è, innanzitutto, un aspetto lessicale/costituzionale. Mi permetto di citare un paio di articoli della nostra augusta Costituzione.
“Art 36.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
“Art. 37
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”.
Alla luce di tutto ciò, vedo una difficoltà evidente. L’Alternanza Scuola-Lavoro non comporta alcuna retribuzione per lo studente. Ora, mentre il senso comune ci parla di una contraddizione in termini (lavoro –> stipendio), gli articoli citati sembrerebbero indicarci un profilo di incostituzionalità. In questi frangenti, l’alternanza sembra paventare il rischio di sfruttamento degli studenti e, come vedremo, in alcuni casi ciò è effettivamente accaduto (infatti, gli studenti sono scesi in piazza il 13 ottobre per questo).
Ed altra Burocrazia…
C’è un secondo aspetto di criticità, quello burocratico. Invoco, nuovamente, il principio in base al quale, nella scuola il docente dovrebbe insegnare e lo studente studiare. Oggi, la didattica è solo una parte dell’attività del docente (non voglio dire residuale, ma, insomma…): tra Piani di Lavoro, PDP, Corsi sulla Sicurezza, INVALSI, Relazioni Finali, stesura dei Programmi, attività connesse al recupero e molti altri che certamente dimentico, più le riunioni degli organi collegiali, quali, Dipartimenti, Consigli di Classe e Collegi Docenti (soprattutto questi ultimi) in gran parte di scarsa utilità, ed aggiungiamo la formazione obbligatoria dei docenti di ruolo, l’insegnante si trova più spesso a fare il burocrate che non il docente o, comunque, un sacco di tempo e di energie gli vengono sottratti da quella che dovrebbe essere la sua UNICA attività. Un’organizzazione razionale dovrebbe fare sì che gran parte di tale impegno venga svolto dagli amministrativi, non già dai docente, ammesso che sia effettivamente necessario.
Ora, l’introduzione dell’alternanza ha comportato un ulteriore pesantissimo aggravio burocratico/organizzativo, per dirigenti scolastici, amministrativi e, soprattutto, per i docenti tutor. Il reperimento di posizioni di alternanza, la loro gestione, la stipula delle convenzioni, il seguire gli studenti nel loro percorso (anche sotto l’aspetto burocratico) costituiscono un impegno estremamente gravoso; alla fine dell’anno, i tutor erano stremati, il contributo dal loro richiesto era semplicemente pazzesco e questo non può che ricadere sull’efficienza e la qualità dell’insegnamento.
A titolo di esempio, riporto la descrizione, tratta dalla pagina dell’Alternanza sul sito del MIUR, che illustra tutte le procedure richieste alla scuola per stipulare la convenzione con le strutture ospitanti (http://www.istruzione.it/alternanza/organizzare_percorso.shtml).
“Dalla convenzione devono risultare le condizioni di svolgimento del percorso formativo, ed in particolare:
- anagrafica della scuola e della struttura ospitante;
- natura delle attività che lo studente è chiamato a svolgere durante il periodo di alternanza scuola lavoro all’interno della struttura ospitante, coerenti con gli obiettivi del progetto formativo condiviso tra quest’ultima e l’istituzione scolastica e con i risultati di apprendimento previsti dal profilo educativo dell’indirizzo di studi;
- individuazione degli studenti coinvolti nell’attività di alternanza per numero e tipologia d’indirizzo di studi;
- durata del singolo percorso formativo nell’ambito delle ore complessive di alternanza scuola lavoro;
- identificazione dei referenti degli organismi interni ed esterni all’istituzione scolastica e dei relativi ruoli funzionali: Dirigente scolastico e tutor interno ed esterno; il tutor interno cura, insieme al tutor esterno, il percorso formativo personalizzato sottoscritto dalle parti coinvolte (scuola, struttura ospitante, studente/soggetti esercenti la potestà genitoriale);
- informazione e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in cui sono specificate dall’istituto scolastico le attività già svolte dagli studenti che partecipano alle attività di alternanza e allegati i relativi attestati riportanti i dettagli dei contenuti trattati, al fine di poter individuare le modalità e i tempi della formazione integrativa da erogare da parte della struttura ospitante, secondo lo specifico profilo di rischio;
- eventuali risorse economiche impegnate per la realizzazione del progetto di alternanza scuola lavoro;
- strutture e know-how messi a disposizione dalla struttura ospitante;
- obblighi e responsabilità dell’istituzione scolastica e della struttura ospitante;
- modalità di acquisizione della valutazione dello studente sull’efficacia e sulla coerenza del percorso di alternanza scuola lavoro con il proprio indirizzo di studio;”
Un primo aggravio ricade sul dirigente scolastico: individuare le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili per l’attivazione di percorsi di alternanza scuola-lavoro e stipulare convenzioni finalizzate anche a favorire l’orientamento dello studente.
Poi c’è l’impegno dei docenti. Ecco l’elenco delle funzioni del tutor interno (http://www.istruzione.it/alternanza/tutor.shtml):
“
- elabora, insieme al tutor esterno, il percorso formativo personalizzato che verrà sottoscritto dalle parti coinvolte (scuola, struttura ospitante, studente/soggetti esercenti la potestà genitoriale);
- assiste e guida lo studente nei percorsi di alternanza e ne verifica, in collaborazione con il tutor esterno, il corretto svolgimento;
- gestisce le relazioni con il contesto in cui si sviluppa l’esperienza di alternanza scuola lavoro, rapportandosi con il tutor esterno;
- monitora le attività e affronta le eventuali criticità che dovessero emergere dalle stesse;
- valuta, comunica e valorizza gli obiettivi raggiunti e le competenze progressivamente sviluppate dallo studente;
- promuove l’attività di valutazione sull’efficacia e la coerenza del percorso di alternanza, da parte dello studente coinvolto;
- informa gli organi scolastici preposti (Dirigente Scolastico, Dipartimenti, Collegio dei docenti, Comitato Tecnico Scientifico/Comitato Scientifico) ed aggiorna il Consiglio di classe sullo svolgimento dei percorsi, anche ai fini dell’eventuale riallineamento della classe;
- assiste il Dirigente Scolastico nella redazione della scheda di valutazione sulle strutture con le quali sono state stipulate le convenzioni per le attività di alternanza, evidenziandone il potenziale formativo e le eventuali difficoltà incontrate nella collaborazione.
”
Altra burocrazia ricade sui docenti ed il consiglio di classe per la valutazione (http://www.istruzione.it/alternanza/valutare_alternanza.shtml).
Infine, sono implicati “significativi momenti di formazione del personale, sia interni alla scuola, sia in collaborazione con interlocutori esterni e ospitanti le esperienze di alternanza”, nonché “integrare la programmazione didattica tenendo conto delle esperienze di alternanza scuola lavoro, in un’ottica di coinvolgimento pluridisciplinare”.
E quando studiano?
E veniamo ora al cuore del problema. L’Italia è un paese dove l’ignoranza impera, dove è in corso un imbarbarimento culturale (oltre che morale e qui torniamo all’emergenza educativa) senza precedenti (soprattutto di cultura scientifica, ma non solo). Siamo il paese dove tutti credono ad ogni bufala (vedasi scie chimiche) che viene sparata sui social network, dove vi sono movimenti contro i vaccini, dove il complottismo è una realtà diffusa; dove, soprattutto, abbiamo il 28% (penultimi in Europa, prima solo della Turchia) di analfabetismo funzionale (http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/03/07/news/analfabeti-funzionali-il-dramma-italiano-chi-sono-e-perche-il-nostro-paese-e-tra-i-peggiori-1.296854): la gente non legge nemmeno più. I nostri giovani (e non solo) non sanno più parlare l’Italiano: secondo una ricerca (link) i campioni rappresentativi della popolazione di età compresa tra i 16 e i 65 anni, selezionati in 24 paesi (22 membri dell’Ocse), hanno dato, per quanto riguarda l’Italia, risultati pessimi, forse oltre le aspettative. Siamo i peggiori in termini di competenze linguistiche e penultimi per un soffio in matematica (http://nuovoeutile.it/studenti-non-sanno-italiano/, http://www.lavoce.info/archives/13368/competenze-degli-italiani-siamo-i-peggiori/).
Un altro dato, che sembra slegato ma non lo è affatto, è il seguente; alle ultime elezioni amministrative, l’astensione è stata del 42% al primo turno, del 54% secondo. Secondo la media dei sondaggi di luglio (http://www.termometropolitico.it/1263106_media-sondaggi-al-20-luglio.html), ad oggi, circa il 46% degli Italiani voterebbe un partito che potremmo definire “populista”.
Tutto questo non è casuale, è il sintomo di un’ignoranza diffusa, intesa non solo come mancanza di conoscenza (che sono alla base di tutto), ma anche di incapacità di ragionamento!
Ed il fine principale della scuola, dovrebbe essere proprio questo: forgiare dei cittadini, non dei lavoratori, cittadini consapevoli, in grado di interpretare la realtà, di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è e ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. E come si acquisisce questa capacità di ragionamento? L’unico modo è proprio attraverso la scuola, studiando e capendo materie come Matematica, Fisica, Filosofia, Storia, Latino, non andando a pulire i corridoi degli alberghi (perché spesso sono successe proprio cose del genere).
Ed, allora, se sottraiamo tempo ed energie agli studenti, per farne dei lavoratori anzitempo, aggraveremo ulteriormente il problema dell’ignoranza e dell’incapacità di razionalizzare dei cittadini di domani!
In che modo, esattamente, l’alternanza mina l’apprendimento dei ragazzi?
Qui vengo a descrivere la mia personale esperienza. L’Alternanza è fatta, per fortuna, a parità di programmi scolastici, pertanto, innanzi tutto, toglie tempo allo studio. Purtroppo, il problema non è solo questo, perché essa sottrae tempo anche alle lezioni: sovente, infatti, viene effettuata in orario curricolare! Per consentire agli studenti di raggiungere quel monteore abnorme di alternanza, vengono organizzate un gran numero di uscite didattiche che contano come alternanza! In moltissimi casi, le mie classi erano semplicemente assenti perché erano fuori a svolgere tali attività (un esempio che rammento è stata la “giornata mondiale per la disabilità”, che ha portato via una classe, per due interi giovedì consecutivi!). Non solo, avevo una classe, che, all’ultima ora, per 2/3 usciva per fare un’attività di alternanza presso una scuola, così, era come facessi 1 h 40, invece di 2 ore (già la Fisica è forse la materia più difficile che i ragazzi devono affrontare e 2 ore sono poche, figuriamoci 1:40). Non è finita qui, le classi hanno effettuato per due settimane (metà classe in una settimana e metà classe nell’altra) un’attività di alternanza presso il tribunale, così che mi sono trovato le classi semi vuote, con gli studenti che pretendevano che rispiegassi tutto quello che avevo spiegato nelle ore in cui erano assenti. Sommando ciò a tutte le altre interruzioni: ponti, gite, INVALSI, la nomina del docente arrivata ad ottobre (altro mirabolante successo della “Buona Scuola”), la settimana di sospensione dei programmi, ecc., il numero di ore, che è già limitato, si riduce ulteriormente. Il risultato è che il docente non è messo della condizione di svolgere pienamente il suo dovere morale nei confronti degli studenti e si trova costretto a tagliare gran parte del programma: sono riuscito ad arrivare alla Dinamica, ma senza proporre esercizi, non ho insegnato la Statica e la Dinamica dei Fluidi, i concetti di Lavoro ed Energia, le Leggi di Conservazione, la Gravitazione. Una pesantissima perdita culturale e di esercizio al ragionamento.
Un parlamentare, nel corso di un dibattito, ha affermato che una delle finalità dell’Alternanza è contrastare la dispersione scolastica. Perdonate, ma in che modo può contrastare la dispersione scolastica un’attività che darà ai ragazzi ancora meno tempo per studiare?
Risultati
Ora, quale è stata l’effettiva efficacia del programma di alternanza? È, certamente, ancora presto per trarre delle considerazioni conclusive; non sono stato in grado di trovare dati precisi, cionondimeno, si possono già ora individuare alcuni profili di criticità che erano ampiamente prevedibili: l’esito è stato, almeno in parte, fallimentare; pur non dubitando che vi siano stati degli esempi molto positivi, l’attività svolta, in una frazione significativa dei casi, non era in linea con l’esigenza di una formazione coerente con l’indirizzo.
Il fine dell’alternanza dovrebbe prioritariamente essere di sviluppare una generazione di imprese innovative, formando in alta tecnologia, in un mondo che richiede una competizione globale basata proprio sull’innovazione. Invece, solo il 36% degli studenti si sono cimentati in attività nelle imprese, per il 12% nelle scuole, per l’8% nella Pubblica Amministrazione e per il 7% nel settore No Profit e per la restante percentuale in studi professionali, ordini, associazioni di categoria (http://www.indire.it/2016/10/18/presentati-al-miur-il-monitoraggio-nazionale-e-i-campioni-dellalternanza/).
In Germania, ad esempio, l’alternanza funziona a meraviglia, ma lì vi è tessuto imprenditoriale che considera un dovere morale accogliere i giovani per formarli. In Italia questo assolutamente non accade, non c’è nella classe imprenditoriale una cultura dell’alternanza, per cui, in larga misura, i ragazzi finiscono per esse sfruttati oppure per diventare un peso per coloro che li ospitano. In molti casi, i nostri ragazzi si sono trovati a fare fotocopie o a pulire le toilette.
Molti esempi negativi sono riportati in questo articolo http://www.tecnicadellascuola.it/archivio/item/28465-il-fallimento-dell-alternanza-scuola-lavoro-sfruttamento-e-disorganizzazione,-anche-al-nord.html ed in questo http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/06/alternanza-scuola-lavoro-la-denuncia-degli-studenti-sfruttati-per-pulire-i-bagni-dei-ristoranti-e-fare-volantinaggio/3422124/ ed in questo http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/05/04/news/l-alternanza-scuola-lavoro-e-un-mezzo-flop-tra-studenti-parcheggiati-e-prof-lasciati-soli-1.300956
Qualcuno, ad esempio, si è trovato a volantinare per dodici ore al giorno, a pulire bagni e tavoli al ristorante, o a catalogare locandine degli anni Ottanta in un cinema. Una denuncia in tal senso è giunta dall’Unione degli Studenti della Puglia.
Era logico che finisse così, non si può immaginare di costringere, da un anno all’altro, migliaia di studenti ad un’attività lavorativa rispetto alla quale le strutture ospitanti non posseggono il know how per gestire tale flusso; occorreva una preparazione culturale e organizzativa di anni per rendere questo percorso realmente funzionale. Inoltre, se parte della manovalanza è effettuata da studenti gratuitamente, si corre il rischio di avere ricadute negative in termini occupazionali.
C’è poi un aspetto semplicemente assurdo dell’alternanza in Italia: è l’unico paese europeo, in cui l’alternanza riguarda non solo gli indirizzi tecnici e professionali ma anche i licei! Torniamo, nuovamente al lessico; Definizione Liceo (diz. Garzanti): “Scuola secondaria di grado superiore che prepara all’università”. Mentre per i percorsi tecnici e professionali, sembrerebbe doveroso un’esperienza formativa sul campo (magari non 400 ore, perché resta il fatto che la scuola debba insegnare a ragionare e non solo a lavorare), essa non hanno alcun senso per i licei, perché il loro scopo non è preparare al lavoro ma all’università! E questa è, appunto, un’alzata d’ingegno solo Italiana.
Penso che 200 ore non siano affatto sufficienti per fornire una reale formazione professionale, ma siano più che sufficienti per minare una realtà di apprendimento scolastico già in forte disequilibrio.
Questo dimostra in quali errori marchiani si ricade quando si legifera senza conoscere la realtà degli ambiti in cui va a legiferare.
Cittadini o imprenditori?
Per concludere, vorrei riportare alcuni passaggi della presentazione dell’Alternanza sul sito del Ministero (http://www.istruzione.it/alternanza/cosa_alternanza.shtml):
- “La scuola deve, infatti, diventare la più efficace politica strutturale a favore della crescita e della formazione di nuove competenze, contro la disoccupazione e il disallineamento tra domanda e offerta nel mercato del lavoro”.
- “La comprensione delle attività e dei processi svolti all’interno di una organizzazione per poter fornire i propri servizi o sviluppare i propri prodotti, favorisce lo sviluppo del ‘Senso di iniziativa ed imprenditorialità’ che significa saper tradurre le idee in azione”. “Aziende Virtuali”.
- “La Scuola impresa”.
- “Impresa formativa simulata”.
Molto del lessico contenuto in questi passaggi, sembra ricondurre alle aree semantiche dell’imprenditoria e del mercato. Credo che questo sia il vero fine dell’Alternanza e credo che introdurre l’alternanza in questa forma, sia una scelta dettata, appunto dal Mercato. Ma, io sono vecchio stile e credo che il fine del legislatore, dovrebbe essere l’interesse di cittadini, non quello del mercato!