NOTA: A differenza di quanto accade usualmente, per necessità, questo articolo è stato elaborato in tempi molto ristretti e mi scuso per eventuali refusi e per la qualità non eccelsa.
“La Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista, è il documento fondamentale dal quale prendiamo le mosse. La Costituzione non è una semplice raccolta di norme: oggi non meno di ieri è la decisione fondamentale assunta dal popolo italiano sul come e sul perché vivere insieme. (…)
La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale. La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise, coerenti con i princìpi e i valori della Carta del 1948, confermati a larga maggioranza dal referendum del 2006”.
Manifesto dei Valori del Partito Democratico (2008)
1. INTRODUZIONE: IL CLIMA
Non so voi, ma io attendo con grande aspettativa il 5 dicembre. Questa campagna referendaria, universale, assoluta, asfissiante ed in gran parte davvero stucchevole mi sta logorando. Il livello del dibattito è di una bassezza allucinante per un tema di questa importanza e, sebbene buona parte dello squallore giunga dai sostenitori del “Sì” (contesterò i loro argomenti più avanti), anche il fronte del “No” non è certo incolpevole (basti ricordare la “bufala” del “governo non eletto dal popolo”, laddove, per fortuna, i governi non li elegge il popolo!). Un clima davvero pesante è calato sul paese ed ancora di più sul PD, tanto che spero che una vittoria del No possa sconfiggere il renzismo e la sua pesantezza, sebbene, le ragioni su cui si basa in mio assoluto NO siano tutte di merito, come descriverò; ma non sarò certo io a lamentarmi se dovesse tramontare l’era dei “gufi”, dei “professori”, dei “selfie” e del “ciaone”, delle battutine squalificanti e tornasse un clima di maggiore serietà e pluralità. Temo che alla fine si imporrà il sì, perché, come evidenzierò più avanti, praticamente tutto l’establishment nazionale ed internazionale è schierato sul “Sì” e (la si prenda come un’affermazione semischerzosa) tutti i sondaggi danno avanti il No, quindi, visto quanto ci prendono di recente, necessariamente vincerà il “Sì”. È pur vero che, a livello mondiale, è in corso un fenomeno di ribellione a tutto quanto proposto dalla politica tradizionale (vedasi vittoria di Trump, la “Brexit”, l’affermazione delle destre xenofobe), che, in pressoché tutti i casi, ha portato gravi danni; in questo frangente potrebbe, invece, recare qualcosa di positivo. Il premier e segretario del PD ha gravi responsabilità, in tutto questo: avere “drammatizzato” questo referendum, trasformandolo in una battaglia per la vita, l’avere paventato l’apocalisse se vincesse il “No”, l’avere continuamente promesso favole (tipo abbassare le tasse; vi ricorda qualcuno?) ed avere attaccato l’Europa per guadagnare consensi referendari e, non ultimo, avere fissato il referendum così tardi, costringendo il paese ad una campagna così lunga, pur di recuperare consensi. Renzi è riuscito a mettere tutti contro di lui ed il PD, contribuendo alla sconfitta di Torino (su cui però sarebbe deleterio dimenticare le responsabilità locali.
2. ELEMENTI DI POSITIVITA’ DELLA RIFORMA
Prima di addentrarmi nelle ragioni che mi fanno ritenere sbagliata questa riforma costituzionale, ritengo corretto elencare gli (scarsissimi) aspetti che condivido:
a) Referendum: Con la riforma, il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta del 50% + 1, ma se i cittadini che lo propongono sono almeno 800000, tale quorum va calcolato sui votanti alle ultime elezioni politiche. Credo che questa proposta vada nella direzione giusta ed anche la Città di Torino ha recentemente adottato un provvedimento simile. Lo strumento del referendum è fondamentale per permettere la partecipazione dei cittadini alla vita democratica della propria comunità; esso va rafforzato, ma, come dimostra il recente caso britannico, anche corretto. Si prende ora coscienza del fatto che la partecipazione è cambiata e gli strumenti di partecipazione “tradizionale” hanno perso gran parte della loro efficacia: con percentuali di affluenza attorno al 50% in ogni consultazione, il quorum al 50% + 1 degli aventi diritto non è più realistico e di fatto toglie ai cittadini che invece vogliono partecipare ogni possibilità di farlo. Deve passare il principio in base al quale chi non partecipa ha sempre torto e forse quando i cittadini si renderanno conto che non partecipando lasciano che siano gli altri a decidere, le cose inizieranno a cambiare. Certo, si sarebbe potuto dimostrare maggior coraggio, ad esempio introducendo il principio del 50% + 1 dei votanti all’ultima consultazione per tutti i referendum, non solo per quelli che abbiano raggiunto le 800000 firme, ma è comunque un inizio. In ogni caso, l’istituto del referendum va affinato: la domanda secca sì, no per questioni complesse, coi cittadini poco informati, rischia di provocare solo danni, come dimostra quanto accaduto nel Regno Unito.
Sono anche d’accordo, per le stesse ragioni, all’istituzione del referendum consultivo e di indirizzo. Certo, al momento mi pare tutto estremamente aleatorio: a quanto compreso, il testo di riforma introduce questi istituti, ma non fornisce alcuna indicazione sul loro effettivo funzionamento, rimandando questo aspetto a leggi di rango costituzionale e leggi ordinarie. Possono essere degli importanti strumenti di partecipazione popolare, a patto che le modalità con le quali verranno attuati, in base a tali leggi, siano serie. Su questo, provo a lanciare una piccola provocazione: può essere anche l’occasione per immaginare che le nuove tecnologie possano diventare degli strumenti importanti per realizzare le consultazioni. Almeno nel caso dei referendum consultivi, si potrebbe immaginare di permettere alla gente di votare online, da casa o in centri appositi. Parlando di contenimento dei costi, certamente istituire i seggi e le operazioni di scrutinio su tutto il territorio nazionale ha un impatto economico notevole; del resto in Finlandia si vota addirittura online da anni.
b) Leggi di Iniziativa Popolare: Con la riforma, vengono stabiliti tempi certi per la discussione e la deliberazione delle stesse, pur alzando il numero di firme richieste. Considerando che nella maggior parte dei casi le camere le hanno completamente snobbate, questa è certamente una buona notizia.
c) Abolizione del CNEL: In tutta onestà, prima che se ne discutesse in merito a questa riforma non ne avevo mai sentito parlare ed ho dovuto studiare per capire di che cosa si parlasse. Non credo che nessuno potrà sentire la mancanza del CNEL. Detto questo, messa così, pare l’ennesima mossa un po’ demagogica: si fornisce all’opinione pubblica lo scalpo di un ente di cui probabilmente ben pochi conoscono l’esistenza, per poter affermare “visto abbiamo abolito un ente inutile”. Anche l’approccio alla razionalizzazione degli enti dovrebbe essere un pochino più serio.
Il problema però è che questi sono aspetti accessori della riforma, il cui nucleo, la modifica della composizione e delle funzioni del Senato reca con sé una pesante “carica” negativa, ben superiore alle positività della riforma. Nel prossimo paragrafo spiegherò perché.
3. PERCHE’ NO
Vi sono diverse ragioni per cui questa riforma non mi convince, che si possono raggruppare, credo in tre categorie: genesi, distorsione democratica dei suoi contenuti, inefficacia. Analizziamole una per una.
3.1 COME NASCE LA RIFORMA
Premetto che le mie obiezioni alla riforma sono principalmente di merito, ma nel discutere il merito non si può non partire dalla valutazione dei soggetti che l’hanno ideata e sostenuta, dalle loro motivazioni e dalle modalità con cui è stata portata avanti, perché tutto ciò è fondamentale per interpretare correttamente il disegno che ne sta alla base e, quindi, come essa verrà applicata.
Sì è criticata molto la riforma perché è stata sostenuta da Verdini ed i suoi ed è un ottimo argomento, perché la moralità e le motivazioni del soggetto sono quantomeno questionabili, ma tendiamo a scordarci che prima di Verdini c’era già Alfano (il signore, che per conto di Berlusconi, ha elaborato il “lodo” che porta il suo nome e che i cittadini hanno abolito con un referendum con quorum, nonché il soggetto che, a lungo, ha provato ad imbavagliare le intercettazioni). Gli Italiani hanno la memoria corta ed io credo che il PD abbia commesso un peccato originale ad accordarsi con tali soggetti ed a portare avanti una riforma costituzionale con loro.
Ma anche l’attuale classe dirigente del PD non mi induce fiducia circa le motivazioni e la sua adeguatezza a proporre una riforma costituzionale e per di più di tale rilevanza. Il Renzismo (che fortemente caratterizza questa riforma), si è caratterizzato per la promessa rottamazione totale, ma ha realizzato solo una parziale sostituzione della classe dirigente precedente con una caratterizzata, in buona misura, da limitato spessore culturale e politico, superficialità, pigrizia intellettuale e tendenza all’omologazione ed al pensiero unico (credo che la “madre” della riforma, il ministro M. E. Boschi ne sia l’emblema). Lo stesso Renzi presenta spiccate caratteristiche di arroganza, quella del un bullo portato a squalificare chi dissente ed ad atteggiarsi come capo assoluto interpretando il rapporto con l’elettorato in senso plebiscitario. Bene, io, personalmente fra una Costituzione elaborata da soggetti del calibro di Calamandrei, Pertini, ecc., ed una proposta da Renzi, Boschi, Alfano e Verdini, non ho dubbi da che parte schierarmi.
Oltre alla caratura delle persone che hanno elaborato la riforma, mi preoccupa assai il modo in cui essa è nata ed è stata portata avanti. Il Governo Renzi è nato, con un “colpo di mano”; vi era un governo in carica (di esso e del suo premier, Enrico Letta, non avevo alcuna stima, quindi non è certo per esaltarlo che scrivo questo). Ora, nel nostro ordinamento parlamentare, i Governi NON sono eletti, sorgono e cadono in parlamento, ossia gli unici soggetti che li determinano sono i “gruppi parlamentari” ed i parlamentari stessi. Il Governo Letta beneficiava allora della fiducia della maggioranza dei gruppi parlamentari e l’avvicendamento è stato determinato in un’altra sede, ossia una sede di partito, con l’iniziativa di un segretario (pur legittimato da un vasto consenso popolare) che ha posto la questione presso la Direzione del suo partito, non per mezzo di una decisione dei gruppi parlamentari che hanno avuto un ruolo subordinato (l’art. 67 della Costituzione libera i parlamentari da ogni vincolo di partito). Questo è già molto grave (io ho smesso di essere Renziano a seguito di tali eventi).
In seguito, è partito l’iter della Riforma Costituzionale, per iniziativa del Governo. Credo sia la prima volta che la Costituzione, ossia la legge fondamentale della nostra repubblica, viene cambiate con un ddl governativo, invece che per iniziativa del parlamento stesso. Non solo, ma questo progetto di riforma è stato attuato con un piglio di un’arroganza senza precedenti, in barba al “Manifesto dei Valori” citato all’inizio del testo; invece di cercare un’ampia condivisione nell’arco costituzionale ci si è impuntati su determinati punti e si è cercata la condivisione con coloro che erano disposti (pur di non tornare a casa)), a sostenerla (prima Berlusconi, con il “Patto del Nazareno”, poi Alfano e Verdini), provocando una grave spaccatura all’interno dello stesso PD (peraltro, io credo che la minoranza del PD che, faccio notare, è la medesima che io così fortemente ho contrastato al congresso 2013 e su cui non ho cambiato opinione, abbia sbagliato tutto ed avrebbe dovuto COERENTEMENTE votare NO fin dal principio in modo da FERMARE tutto ciò ed evitare di essere a poco a poco fagocitata da Renzi e resa irrilevante); non credo che tutto questo sia stato accidentale, ma sia stato frutto di una precisa volontà e strategia. E poi, si è assistito all’operazione “rullo compressore”, in cui la riforma, come inizialmente concepita, è stata portata avanti come da una divisione di panzer, considerata la battaglia della vita e si è forzato gravemente il parlamento, isolando chi dissentiva, addirittura mediante l’apposizione del voto di fiducia, una cosa inconcepibile per una riforma costituzionale. Sia chiaro che tutto ciò non ha nulla di formalmente scorretto, bensì si tratta di scelte gravi politicamente, nell’ottica delle separazione dei poteri. Trovo anche singolare il fatto che, per altri provvedimenti, come le Unioni Civili, l’atteggiamento sia stato di tutt’altro tipo e la fiducia sia stata posta solo DOPO avere accettato un accordo al ribasso. A costo di ripetere la battuta, fra una Costituzione che nasce a seguito di una dittatura, una guerra ed una resistenza ed una che nasce dai selfie, dai processi e del ciaone, non ho dubbi da che parte stare. Mi attendo che un provvedimento sia applicato e sia interpretato in modo compatibile con la mentalità e le motivazioni di coloro che lo hanno ideato.
Inoltre, c’è una considerazione storica che è opportuno fare. I capitoli più oscuri della Storia d’Italia del secondo dopoguerra (strategia della Tensione, Guerra non Ortodossa, Terrorismo, stragismo, ecc.) hanno avuto come principale bersaglio proprio la Costituzione, essendo considerata un’illusione post-bellica, al fine di modificarla in senso autoritario. Il “Piano di Rinascita Democratica” della P2, negli anni ‘70, come sostenuto, ad esempio, ad esempio da Sergio Flamigni (che sottolinea, ironicamente, come sarebbe più facile elencare quanto NON è stato realizzato del programma della P2) è in modo inquietante simile ad azioni legislative realizzate o progettate dai governi successivi (liberalizzazione delle emittenti televisive, controllo del lobbismo sui mass media, abolizione delle province, separazione delle carriere dei magistrati, riduzione numero di parlamentari, ripartizione delle competenze fra le due camere). Sempre secondo Flamigni, Berlusconi era l’uomo che doveva realizzare il programma della P2 e, nel periodo berlusconiano, i tentativi di cambiare la costituzioni in un certo senso sono stati diversi. Ovviamente non intendo affermare che vi sia un collegamento diretto, eppure, almeno da un punto di vista culturale (come osserva il giudice Leonardo Grassi) finalmente, si è sul punto di centrare l’obbiettivo, quasi a chiudere il cerchio, con metodi molto diversi rispetto al passato, certamente più democratici, di cambiare la Costituzione. Tutto ciò, segna idealmente la conclusione del processo di trasformazione del PD in senso post-berlusconiano.
Io sono fortemente convinto che i veri “suggeritori” di questa riforma siano le varie lobby nazionali (alta finanza, banche, ecc.) ed internazionali (Europa, amministrazione americana, ecc.) che, ormai, detengono il vero potere in Italia e nel mondo (nel prossimo paragrafo spiegherò perché) e se vogliamo che in Italia permanga un minimo di sovranità popolare, dobbiamo impedire che la riforma vada a regime.
3.2 PERCHE’ LA RIFORMA E’ SBAGLIATA
Cerco ora di spiegare perché, a mio parere, questa riforma è, nel merito, SBAGLIATA.
Provo innanzitutto a delineare quali sono le caratteristiche che deve avere un sistema istituzionale realmente democratico.
1) Rappresentatività e Proporzionalità: Occorre che i parlamenti abbiano un “peso” specifico maggiore dei governi; occorre che la delega sia limitata, e che i presidenti ed i capi di governo non siano “eletti”, ma traggano la loro legittimità dalla volontà del parlamento, il quale a sua volta deve essere eletto direttamente dai cittadini nel modo più proporzionale possibile. Se queste caratteristiche non sono soddisfatte, si producono distorsioni e si va verso derive plebiscitarie. Una Democrazia può funzionare solo se il “potere” è più equipartito possibile, se il livello di collegialità è massimo, se realmente “1 vale 1”, se ciascun rappresentate istituzionale goda della massima indipendenza possibile (art. 67 della Costituzione). “Democrazia” significa “Governo del Popolo” e, sebbene sia evidente che il popolo non può esercitare direttamente il potere (“bensì nelle forme e nei limiti della Costituzione”), occorre avvicinare il più possibile i cittadini al potere, non solo con forme di consultazione diretta, ma soprattutto minimizzando il rapporto eletto/elettore così che i due siano più vicini possibile e facendo sì che il potere non si raggrumi attorno ad una o più persone. Certo, mi rendo conto che si tratta di uno scenario in qualche modo utopistico, ma è quello verso cui si dovrebbe tendere.
2) Tensione Etica: Gli interpreti del suddetto regime devono venire selezionati tra coloro che massimamente si dimostrano, oltre che intelligenti, colti e competenti, in grado di contrastare la spinta della natura umana verso l’egoismo e l’individualismo. Occorre, cioè che i rappresentanti politici ed istituzionali siano caratterizzati da una fortissima tensione etica, agendo massimamente per gli interessi di coloro che rappresentano e non di loro stessi. Certo, non si può cancellare del tutto l’ambizione, ma essa deve essere stemperata da una tensione morale fortissima. Questo significa, anche, che i membri delle classi dirigenti devono essere al di sopra di ogni ombra nei riguardi dell’applicazione della giustizia, essere in grado di dare sempre il buon esempio nei comportamenti pubblici e privati, ed essere del tutto indipendenti da ogni tipo di lobby, gruppo di pressione o qualunque entità che non siano i cittadini che li hanno eletti.
Questa riforma indebolisce gravemente il punto 1 e non fa nulla per rafforzare il 2. È vero che, formalmente, essa non modifica i poteri del governo, ma ciò che determina la qualità del sistema democratico è il quadro complessivo emergente. Dopo questa riforma, sarà molto minore il numero di persone che avrà in mano le leve del potere: avremo meno parlamentari, meno persone da “convincere” della bontà di un provvedimento o di un governo cui attribuire la fiducia e, quindi, i “capi” avranno vita molto più facile, considerando anche il fatto che, a prescindere da quale sistema elettorale vigerà (e non me ne aspetto uno che conceda grande autonomia ai parlamentari), oggi i parlamentari sono ben poco indipendenti e molto legati ai loro “capi”. Avremo che, probabilmente, una sola persona, di fatto, potrà decidere tutto, compreso chi sarà il premier. Questo è un quadro di grave deformazione democratica di orientamento plebiscitario e credo ciò fosse esattamente nelle finalità di chi ha voluto la riforma. Essendo che, a parere mio, questa riforma è voluta da lobby esterne alla politica che la manovrano come vogliono, non è difficile capire che questi soggetti si troveranno facilitati nel portare avanti i loro interessi dovendo influenzare meno persone di adesso.
Ilo slogan più in voga dai sostenitori della riforma è “un Italia più facile e più efficiente”. Siamo certi che la “facilità” sia un valore (sull’efficienza ci ritorno)? Siamo sicuri che sia prioritario fare leggi velocemente? L’altro slogan è “bisogna cambiare”, ma il cambiamento presuppone una direzione verso cui andare, invece esso viene propugnato come un valore in sé. Il “Dove si va” non è una variabile indipendente. Siamo sicuri che il cambiamento di cui ha bisogno l’Italia sia quello della Costituzione? È ovvio che l’Italia necessita di un forte cambiamento, ma non credo che esso debba riguardare la Costituzione, occorre invece un forte cambiamento morale e se proprio bisogna cambiare la Costituzione, occorre muoversi in direzione molto diversa, rendendo, magari un po’ più facile l’applicazione della giustizia, soprattutto per coloro che hanno ruoli di dirigenza. Invece, la riforma prevede il mantenimento dell’immunità parlamentare per chi ricoprirà il ruolo di senatore.
Si afferma che il sistema attuale appesantisca l’iter legislativo e penalizzi la stabilità governativa. Ebbene, io credo che queste caratteristiche, spesso presentate in un accezione negativa, non siano connesse al sistema istituzionale in sé, ma alla scarsa qualità del sistema politico. La Costituzione, nata dalle ceneri di una dittatura, di una guerra e della Resistenza ha fatto sì che il sistema, nei primi decenni della Repubblica si sia ben comportato e siano stati conseguiti risultati importanti (penso allo statuto dei Lavoratori, Leggi sul Divorzio e Aborto, ecc.). Poi, la qualità delle classi dirigenti ha cominciato a scadere, dal punto di vista delle competenze, ma soprattutto dal punto di vista morale (la “Questione Morale” di Berlingueriana Memoria), e molti hanno cominciato a mettere ai primi posti non il bene comune, bensì, il bene del proprio partito (Tangentopoli), per arrivare poi alla totale mancanza di vergogna (il ventennio Berlusconiano). Negli ultimi anni la situazione è totalmente precipitata, in congiunzione con la crisi economica e sociale. Ed è questo che ha messo in crisi il sistema mettendolo nella condizione di non essere più né efficace, né efficiente. La politica ha risposto a tutto questo, secondo me, nel modo sbagliato, non autoriformandosi, magari facendo leggi che blocchino l’accesso alle istituzioni a chi abbia problemi con la giustizia o conflitti di interessi vari, o anche un bella legge che regolamentasse la vita interna dei partiti. Invece, si è scelta una differente strada: riformare le istituzioni in senso accentrativo e sacrificando la rappresentatività a favore della governabilità (è accaduto con la famigerata Legge Delrio, con la Riforma del Decentramento a Torino, ecc.). Questo, però, diminuisce il margine di manovra per cittadini e pone le leve del potere ad entità extra politiche. Non credo, personalmente, che la stabilità dei governi e la rapidità dell’iter legislativo siano dei valori in sé. Credo sia meglio prendere un po’ più di tempo, riflettere un briciolo di più, ma realizzare dei buoni provvedimenti. In tutti i paesi in cui esiste, la doppia camera ha una funzione di garanzia. Non dimentichiamoci che la doppia lettura ha contribuito a bloccare delle leggi porcata come il bavaglio alle intercettazione ed il testamento biologico (gli Italiani tendono ad avere la memoria corta) e tale funzione di garanzia e contrappeso è qualcosa cui non si dovrebbe rinunciare con troppa leggerezza. In generale, la ragione di fondo per cui non mi convince troppo questa riforma è che non mi fido troppo degli italiani che per decenni hanno eletto Mussolini, Berlusconi ed adesso, probabilmente, per colpa nostra, eleggeranno un comico. Ebbene, con soggetti di tale calibro al governo, sono più tranquillo con un governo un po’ meno stabile.
L’elezione di secondo livello taglia completamente fuori i cittadini, come accade nel caso elle ex province (la famigerata Legge Delrio che segue la stessa logica di questa riforma); è vero che ci sarà una sorta di indicazione d parte dei cittadini sulla scheda, ma al momento pare tutto molto nebuloso e sarà necessaria una legge attuativa che non è stata approvata e, comunque, i sindaci chi li elegge? Se vogliamo che i cittadini riprendano fiducia nella politica, dobbiamo cercare di avvicinarli ai loro rappresentanti, non allontanarli ulteriormente, riducendone il numero di un terzo. Penso quindi che si stia seguendo la strada sbagliata, che sia opportuno mantenere un sistema con qualche garanzia in più, in questo paese e mi concentrerei, invece, sul migliorare la qualità e l’affidabilità, degli attori istituzionali. Il sistema bicamerale perfetto, sì, è un’anomalia italiana: si poteva riformare, semplificare, senza necessariamente trasformare una camera in una sorta di “dopolavoro” per consiglieri regionali e sindaci, con funzioni confuse e pochi poteri concreti (se dovessi spiegare quali dovranno essere le funzioni concrete del nuovo senato, sarei molto in difficoltà). Il doppio ruolo, peraltro non retribuito, di consiglieri regionali e sindaci è semplicemente una barzelletta; chi, come il sottoscritto ha ricoperto un ruolo di rappresentanza amministrativa sa quanto sia impegnativo questo genere di incarico, figuriamoci per i sindaci. Non avranno semplicemente il tempo di fare i Senatori. Negli Stati Uniti, sussistono due camere (pur elette in modo fortemente maggioritario) che possono “armonizzare“ i testi di legge. Era possibile perfezionare, semplificare il sistema bicamerale in modo simile, senza creare un regime così squilibrato verso l’esecutivo che viene rafforzato, nei fatti, se non nella forma, molto rispetto al legislativo. Questa riforma, in congiunzione, magari, con una legge elettorale maggioritaria (faccio presente che in Germania vige un sistema in qualche modo simile, ma lì hanno il proporzionale!), condurrà ad un sistema con forte carattere plebiscitario, in cui pochissime persone avranno un potere molto grande e questo mi spaventa molto alla luce della storia d’Italia, sia recente, sia meno recente.
3.3 “INEFFICACIA DELLA RIFORMA”
Su questo tema ho già in parte detto nel paragrafo precedente. Aggiungo le seguenti osservazioni:
a) Efficienza del sistema attuale: Secondo il “Comitato per il No” (non ho modo di verificare e quindi assumerò per buono quanto loro affermano), l’Italia è il secondo paese in Europa per produzione legislativa: solo il 3% delle leggi è sottoposto a più passaggi da Camera a Senato.
b) Bicameralismo: La riforma non supera bicameralismo, lo rende più confuso. Come già scritto, nel punto precedente, vi sfido a leggere l’art. 70 delle Costituzione riformata ed a capire quale sarà effettivamente il ruolo del nuovo Senato.
c) Riduzione dei Costi: Secondo il Comitato del no, il risparmio del nuovo Senato non sarà di 500 mln di euro annui ma solo di 50. Il tema della riduzione dei costi della macchina amministrativa è essenziale, ma deve essere fatto con serietà. Questa riforma è stata guidata da quella che chiamo una “demagogia iconoclasta”. Ma il ruolo di demagogo non può essere interpretato a lungo da chi detiene tutte le leve del potere. Bisogna tenere conto di due cose. Innanzi tutto, il fatto che la Democrazia ha un costo: io posso testimoniare che se si svolge seriamente un mandato elettivo per i cittadini, parte molto tempo ed è giusto che tale lavoro sia retribuito. L’idea del senatore che non percepisce retribuzione per il suo mandato è una cosa assurda, populista che, grida vendetta e rafforza la convinzione che il nuovo Senato sia uno specchio per le allodole senza alcuna funzione reale. Allora perché tenerlo? Mentre sono stato assolutamente favorevole al taglio dei finanziamenti ai partiti (che sono sempre più entità astratte, mentre sono gli eletti che ci mettono sudore e sangue, se sono seri), occorre che gli amministratori siano giustamente retribuiti. In secondo luogo, da che ne dicano i giornali i cosiddetti “costi della politica” hanno un’incidenza minima sui bilanci dei relativi enti, la maggior parte degli sprechi dei loro bilanci non si annidano lì, bensì nei costi enormi della macchina amministrativa, dello stato e degli enti locali. Detto questo, sì, ci sono dei costi da ridurre, se non altro per dare l’esempio anche perché, soprattutto in passato, le retribuzioni totali di parlamentari e consiglieri regionali erano assolutamente sproporzionati, in quanto, siccome, come ho detto, la qualità morale della classe politica è scaduta negli ultimi anni, questi signori non hanno avuto alcuna remora ad aumentarsi le retribuzioni a dismisura (credo che fino a poco tempo fa, un parlamentare si trovasse in busta paga qualcosa come 20000 euro ed un consigliere regionale 8000). Anche in questo caso, però, c’era un altro modo di procedere, che era di andare ad incidere su quei costi e ridurli in modo molto deciso e chirurgico: individuando esattamente quali forme di retribuzione erano razionali e quali non lo erano. Invece, si è scelto di fatto di sopprimere una camera intera e di diminuire così gli spazi di rappresentatività e garanzia. Il che, credo rappreseti un errore.
4. GLI SLOGAN DEL SI’
Per concludere vorrei smontare alcuni delle ulteriori pretestuose parole d’ordine del sostenitori del “Sì”.
a) “Se vince il no non cambierà mai più niente”. E perché?
b) “Tu voti No come Salvini, Grillo e Berlusconi”. Questo è un argomento davvero pretestuoso di piccole persone che non hanno reali argomenti. A parte il fatto che si potrebbe ribattere “tu voti Sì come Verdini ed Alfano” e che non credo affatto nel ”No” di Berlusconi (infatti i dipendenti di Mediaset voteranno sì), è evidente che ti il fronte del “No” è assai composito, formato da tantissimi soggetti diversi con diverse motivazioni, molte delle quali ben poco fondate su principi ideali bensì sulla convenienza. Dovrebbe essere altresì ovvio che, con il suo atteggiamento, il premier ha indotto ed ancora induce a coalizzare tutti contro di lui. Allora, se io sono fortemente convinto del fatto che la suddetta riforma sia sbagliata nei principi e nel merito devo cambiare il mio orientamento di voto solo perché esso è condiviso da certi soggetti? Devo lascare che questo sia il criterio con cui deciderò il futuro della Democrazia Italiana? Ma per favore…
c) “Dobbiamo votare sì perché sennò i mercati ed il debito pubblico impazziscono”. A parte il fatto che a questo non credo (fa parte dell’ argomentazione “se vince il No sarà l’Apocalisse); è ovvio che l’establishment ed i mercati, che ritengo essere i principali sponsor di questa riforma, saranno euforici per un eventuale successo del “Sì”, mentre se vincerà il no ci sarà un po’ di maretta. Ma se vincerà il “No”, le cose rimarranno semplicemente come sono ora quindi non ci sarà nessun apocalisse; in ogni caso stiamo parlando della modifica della Carta fondamentale della nostra democrazia e dovremmo, forse decidere, della nostra democrazia sotto dettatura dei mercati? Si rassegnino questi signori, siccome credo ancora che la sovranità appartenga al popolo, mi rifiuto categoricamente di ragionare in questi termini.
d) “Se vince il no torneranno al potere D’Alema, De Mita e gli altri vecchi arnesi”. Credo che questo sia un giochino che i media stiano portando avanti; è ovvio che questi soggetti utilizzino il referendum per tornare alla ribalta ma non posso non osservare come i mezzi di informazioni facciano di tutto per dare la massima visibilità ad essi, così da rafforzare l’argomento. Non lascerò certo che sia De Mita a determinare il futuro della nostra Costituzione in un modo o nell’altro; in ogni caso, mi devono spiegare come, l’eventuale vittoria del No, riporterà effettivamente in gioco i suddetti personaggi.
e) “Se vince il No, si consegnerà il paese a Grillo e Salvini”. Scusate, come si determinerebbe questo? Fortunatamente, se vincerà il no, continuerà a sussistere un sistema parlamentare con molte garanzie; attualmente c’è un Parlamento con una determinata maggioranza e né Grillo, né Salvini, ne fanno parte. Se in futuro vi saranno nuove elezioni con un sistema elettorale diverso, dubito fortemente che questi soggetti, che pure saranno ringalluzziti dalla vittoria del “No”, potranno ottenere la maggioranza assoluta e sarà onere degli altri partiti, offrire un’alternativa credibile ad essi. In ogni caso, se, come secondo me accadrà, il Movimento 5 Stelle vincerà le prossime elezioni ma non sarà nelle condizioni di governare e questo accadrà a prescindere dall’esito referendario
Per tutte queste ragioni ed altre il 4 dicembre io voterò convintissimamente “NO”!
RICCARDO TASSONE