Io ho, naturalmente, votato Fassino e sono preoccupato per il futuro amministrativo di questa Città. I segnali di questa sconfitta, però, c’erano tutti ed essa ha origini molto lontane; personalmente l’avevo, se non prevista, valutata come molto probabile. Il M5S è un nostro prodotto, nel senso che è nato e cresciuto grazie agli errori del PD, alla sua incapacità di contrastare il berlusconismo prima e di costituirne un’alternativa, poi. Non può essere un caso il fatto che l’origine di entrambi i partiti si possa fare risalire allo stesso anno: il 2007, con le primarie che incoronarono Walter Veltroni ed il primo “Vaffa-Day” di Grillo.

I populismi, che oggi stanno travolgendo il mondo (da Trump all’uscita del Regno Unito dalla UE), non nascono spontanei, sono il combinato disposto (oltre che di una dose letale di superficialità, che caratterizza fortemente la società moderna) del disagio e dell’incapacità delle classi dirigenti di contrastarlo. Nel nostro caso italiano, non mi riferisco solo al fatto che gli elettori sono in difficoltà e non siamo stati in grado di farli stare meglio, ma soprattutto al fatto che noi (il PD) non abbiamo considerato l’aspetto “morale”, non ci siamo preoccupati di rispondere alla crescente rabbia nei confronti dei politici considerati “corrotti”, facendo “pulizia”, garantendo, al nostro interno, la tensione morale necessaria a rendere credibile la nostra azione. Le persone, semplicemente, non si fidano più di noi. Questo l’ho pagato anche sulla mia pelle, avendo perso molti voti perché la gente si è rifiutata di votare PD per tali ragioni.

Se il partito è attraversato da continui scandali ed all’interno dello stesso non scatta un forte sussulto di indignazione rispetto a questi fatti, se la sua classe dirigente appare come un aggregato di gruppi di interesse collaterali a piccole e grandi lobby, se non si considera il casellario giudiziario degli interessati quando si decidono candidature e nomine, se, come accaduto a Torino, non si è stati in grado di costruire una nuova classe dirigente (a cominciare dal candidato sindaco che è sceso in campo controvoglia in assenza di alternative credibili) che potesse fornire un’alternativa a tutto questo, se i segretari non fanno i segretari ma i capicorrente (vedasi la vicenda delle presidenze di Circoscrizione), se l’amministrazione si dimostra arrogante e tira dritto di fronte alla contrarietà dei residenti verso determinati progetti (vedasi parcheggio di Corso Marconi, uno dei pochi aspetti rispetto ai quali, la vittoria della Appendino potrebbe risultare una buona notizia) e si dimostra sorda rispetto al disagio dei cittadini (vedasi la tematica Movida), la sconfitta diventa inevitabile (allargando il discorso a Roma, potremmo citare il siluramento di un sindaco in carica per mezzo di un notaio).

Con l’eccezione delle elezioni del 2014 (quando gli elettori hanno voluto dare il “beneficio del dubbio” alla “novità” Renzi, concedendogli un credito rapidissimamente dissipato), da quando è nato nel 2007, il M5S ha sempre visto lievitare i propri consensi; chiunque possegga un minimo di visione di lungo periodo, non può non essersene reso conto ed avere compreso che la perdita del controllo delle grandi Città sarebbe stata un evento “necessario” (inteso in senso hegeliano). La prossima “tappa” di questo “Sentiero della Dannazione” è la perdita del governo del paese: il Movimento 5 Stelle continuerà a crescere finchè “altri da lui” saranno al potere.

E qual è il ruolo di Renzi e del renzismo in tutto questo? Perché è indubbio che, in questa tornata elettorale, c’è stata la grande ammucchiata “tutti contro il PD” e, se accade una cosa del genere, ci si dovrebbe interrogare sul perché. Il Renzismo (che ora inizia a scricchiolare, la qual cosa, pure, non mi rattrista affatto) ha isolato il PD e lo ha spaccato al suo interno; Renzi tira dritto su delle sue “idee” non condivise né all’interno del PD stesso, né dai suoi potenziali alleati, con la conseguenza di avere dovuto (voluto?) cercare l’appoggio di alcune delle forze più “problematiche” all’interno del Parlamento, dando sempre più l’idea di un collateralismo con i poteri forti e le lobby del paese (soprattutto a seguito di una lunga serie di scandali che hanno visto, come protagonisti, molti esponenti del suo governo), non reagendo agli scandali con la necessaria intransigenza morale ed, in generale, non completando il processo di “rottamazione” promesso in fase congressuale: essa è stata compiuta solo in parte, perché da un lato si è imbarcata gran parte della vecchia classe dirigente (come accaduto a Torino), dall’altro la si è parzialmente sostituita con delle “nuove leve” caratterizzate spesso da limitato spessore politico, modesta cultura democratica, scarsa personalità e vivacità mentale. All’inizio i “bulli” possono anche essere visti come la “soluzione”, ma, sul lungo periodo, l’arroganza (i “gufi”, i “professori”, il “ciaone”, ecc.) si paga. Il ruolo del populista non può essere credibilmente interpretato a lungo da chi controlla tutte le leve del potere. Oggi, il PD è davvero “da solo contro tutti”, contro parte di sé stesso e, soprattutto, la gran parte del paese.

Ci troviamo davvero di fronte all’ultima spiaggia, l’ultimo appello.

Questa sconfitta potrebbe farci bene, a patto che possediamo la volontà e la forza per cambiare rotta (ed io, sinceramente, ne dubito).

Nei prossimi mesi, verrà rivelato il destino del Centrosinistra italiano e con lui, del sistema democratico; ma esso potrebbe essere già stato scritto.

Riccardo Tassone