“Solo quelli che sono così folli da pensare di cambiare il mondo, lo cambiano davvero”.

Albert Einstein

“Il bene ed il male sono rimasti immutati da sempre ed il loro significato è il medesimo […]. Tocca ad ognuno di noi discernerli […]”.

J.R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Libro III, Cap. II

Quest’ultima citazione è certamente forte, tuttavia, credo che se sostituissimo il sostantivo “bene” con “giusto” ed il sostantivo “male” con “sbagliato”, tale affermazione possa rappresentare il nucleo di quella che è la crisi della politica oggi.

Mi spiego: sono fortemente convinto che uno dei motivi principali per cui la politica ha progressivamente perso la propria credibilità e la propria efficacia sia che ha assunto un punto di vista troppo pragmatico, utilitaristico, opportunistico. Le categorie sulla base delle quali si assumono le decisioni sono

  • Utile\non utile
  • Opportuno\non opportuno
  • Efficace\non efficace
  • Conveniente\non conveniente

Invece, occorrerebbe riportare la valutazione delle decisioni da assumere, nella società così come nella politica, ad una categoria più fondamentale: “giusto\sbagliato”. Occorre, cioè, che il decisore possa fare riferimento ad un codice di valori, ossia un insieme di “principi”, fortemente consolidati, ogni volta che deve operare una scelta, ad una piattaforma ideale (non ideologica), che è pressoché scomparsa dopo la fine delle grandi ideologie, sostituita appunto da una visione utilitaristica. Ovviamente, si tratta di questione delicata, in quanto i concetti di “giusto/sbagliato”, “bene/male” sono basati su una forte soggettività. Io credo, però, che, questa costruzione di valori debba essere solidamente basata sulla dialettica fra concetti incontestabilmente giusti ed incontestabilmente sbagliati, ossia, si deve basare, innanzi tutto, su categorie morali. È chiaro che tale dualità investe, da vicino, la questione delle categorie di persone i cui interessi il decisore politico deve tutelare. Personalmente, ho un’idea molto precisa di quali devono essere questi criteri e si avvicinano alle posizioni di Michele Emiliano.

Se non facciamo questo, la politica come noi la conosciamo, morirà, scomparirà, si trasformerà in qualcosa di diverso che forse non sarà più una funzione della Democrazia. Le avvisaglie di tutto ciò sono fin troppo evidente, in Italia e nel Mondo (non c’è bisogno che fornisca degli esempi).

È mia opinione che i partiti, senza grandi distinzioni, non siano più delle stazioni di raccordo fra le istanze dei cittadini e le sedi istituzionali, basati su solide piattaforme ideali, ma, in larga misura, dei centri di potere che si autodifendono dai cittadini stessi; in tutto ciò ha avuto un ruolo fondamentale la crisi morale della società italiana (tema su cui tornerò), ma anche il fatto che, a causa di tutta una serie di dinamiche (strettamente connesse al fenomeno della “globalizzazione”), di fatto, la politica è esautorata, impedita nell’agire da l’imitazione imposte da livelli di governo via via superiori. Inoltre (a causa della crisi economica), è priva di risorse da investire per il bene dei cittadini; così la classe politica è diventata autoreferenziale, preoccupandosi solo di tutelare quel poco di potere e prestigio che le rimane e gli interessi di quelle realtà che sono, per i suoi membri, delle fonti di potere e consenso, sia dentro, sia fuori la politica stessa. Questa, però, rappresenta, nuovamente, una questione morale grande come una casa!

Spero di non risultare troppo sferzante e che i compagni di partito che sostengono Renzi in totale buona fede non si sentano offesi dalle considerazioni che seguiranno. Credo, tuttavia, che una piattaforma politica come quella di Michele Emiliano, non possa essere pienamente compresa se non in relazione (ed opposizione) con quello che è stato il passato recente del PD.

Il punto è che il PD non è sfuggito certo alla suddetta logica e credo che Renzi ed il renzismo l’abbiano portata al massimo compimento. Ritengo che Renzi sia l’erede di Berlusconi (nel senso che preciserò più avanti) ed il renzismo sia l’erede del berlusconismo: il Renzismo è come una malattia che ha contagiato la politica, come lo fu il berlusconismo.

Su quali basi faccio una simile affermazione ed, in generale, quali sono stati i limiti della gestione recente del PD?

Vi sono vari aspetti criticabile del Renzismo

Il primo aspetto è innanzi tutto caratteriale-psicologico. La mia valutazione, non certo “leggera”, mi rendo conto, è che Renzi sia un bullo arrogante, incapace di condividere le sue scelte, portato a squalificare chi dissente, capace di fidarsi unicamente di chi è eguale a sé stesso; interpreta il rapporto con l’elettorato in senso plebiscitario, risultando poco rispettoso del pluralismo, ma, soprattutto, della sostanza del regime democratico italiano, agendo sulla base del principio “io ho vinto, io comando”. A cascata, i “Renziani” sono, pur con lodevoli eccezioni, portati alla canonizzazione del leader, caratterizzando il loro agire politico con la logica del tifoso, ripetendo dogmaticamente determinati slogan ed aggredendo chi non la pensa esattamente come loro, risultando molto simili ai “grillini”. All’inizio un bullo può anche apparire come la soluzione dei problemi, ma alla lunga, si renderà necessariamente antipatico, né può interpretare a lungo il ruolo del populista chi ha in mano tutte le leve del potere. Egli ha dimostrato questi limiti di “sensibilità” politico-istituzionale in molte circostanze:

  1. Il Governo Renzi è nato, con un “colpo di mano”; vi era un governo in carica (di esso e del suo premier, Enrico Letta, non avevo alcuna stima, quindi non è certo per esaltarlo che scrivo questo paragrafo). Ora, nel nostro ordinamento parlamentare, i Governi NON sono eletti, sorgono e cadono in parlamento, ossia gli unici soggetti che li determinano sono i “gruppi parlamentari” ed i parlamentari stessi. Il Governo Letta beneficiava allora della fiducia della maggioranza dei gruppi parlamentari e l’avvicendamento è stato determinato in un’altra sede, ossia una sede di partito, con l’iniziativa di un segretario (pur legittimato da un vasto consenso popolare al congresso 2013) che ha posto la questione presso la Direzione del suo partito, non nei gruppi parlamentari che hanno avuto un ruolo subordinato (l’art. 67 della Costituzione libera i parlamentari da ogni vincolo di mandato). Questo è già molto grave (io ho smesso di essere Renziano a seguito di tali eventi).
  2. L’apposizione della questione di Fiducia sulla Legge Elettorale.
  3. L’iter della Riforma Costituzionale è partito per iniziativa del Governo. Credo sia la prima volta che la Costituzione, ossia la legge fondamentale della nostra Repubblica, viene cambiate con un ddl governativo, invece che per iniziativa del parlamento stesso. Non solo, ma questo progetto di riforma è stato attuato con un piglio caratterizzato da un’arroganza senza precedenti, in barba al “Manifesto dei Valori del Partito Democratico”; invece di cercare un’ampia condivisione nell’arco costituzionale ci si è impuntati su determinati punti e si è cercata la condivisione con coloro che erano disposti (pur di non tornare a casa), a sostenerla (prima Berlusconi, con il “Patto del Nazareno”, poi Alfano e Verdini), provocando una grave spaccatura all’interno dello stesso PD (peraltro, io credo che l’allora minoranza del PD che, faccio notare, è la medesima che ho fortemente contrastato al congresso 2013 e su cui non ho cambiato opinione, abbia sbagliato tutto ed avrebbe dovuto COERENTEMENTE votare NO fin dal principio in modo da FERMARE tutto ciò ed evitare di essere a poco a poco fagocitata da Renzi e resa irrilevante); non credo che tutto questo sia stato accidentale, ma sia stato frutto di una precisa volontà e strategia. E poi, si è assistito all’operazione “rullo compressore”, in cui la riforma è stata portata avanti come da una divisione di panzer, considerata la battaglia della vita e si è forzato gravemente il Parlamento, isolando chi dissentiva. Sia chiaro che tutto ciò non ha nulla di formalmente scorretto, bensì si tratta di scelte gravi politicamente, nell’ottica delle separazione dei poteri. Trovo anche singolare il fatto che, per altri provvedimenti, come le Unioni Civili, l’atteggiamento sia stato di tutt’altro tipo e la fiducia sia stata posta solo DOPO avere accettato un accordo al ribasso. Il clima all’interno del PD, nel corso della (peraltro lunghissima) campagna referendaria, è stato davvero pesante: bene rammento il disagio provato in quel periodo.
  4. Circa l’iter congressuale, credo che nessuno (tranne coloro, molti, che possono attingere ad oceani privati di ipocrisia) potrebbe affermare che il congresso nazionale del PD sarà un congresso serio. Pochi giorni per elaborare un regolamento, la direzione convocata la sera prima per votare un testo CHE NON E’ STATO INVIATO IN PRECEDENZA (hanno votato a scatola chiusa, risibile!), pochi giorni per presentare le candidature, poco più di 2 mesi per la campagna congressuale, con le convenzioni in mezzo. E’chiaro come il sole che chi governa il PD non vuole un confronto sui contenuti o la contendibilità della leadership, ma solo una celebrazione mediatica, per chetare le angosce, gli appetiti ed il desiderio di rivalsa del segretario dimissionario, che gli riconsegni i pieni poteri in modo da decidere la composizione dei gruppi parlamentari, alle prossime elezioni (in virtù dei comodissimi e davvero pessimi capilista bloccati che Emiliano vorrebbe, molto opportunamente, abolire). Tutto ciò è la quintessenza del renzismo, in apparenza unicamente orientato alla gestione del potere! Ma ciò non significa che non si debba partecipare e lottare per proporre un modello diverso!
    Non si molla un atomo…

A tutto questo trova una parziale risposta la proposta di Michele Emiliano, che nella sua mozione afferma: “Abbiamo perseguito la logica dell’uomo solo al comando, della rottura della concertazione e di quella vocazione all’intesa tanto cara ad un padre costituente come Aldo Moro, nella consapevolezza del valore del confronto come punto essenziale per la costruzione di una comunità nazionale […]. Stare nel Partito Democratico non può più significare subire le scelte dall’alto di pochi dirigenti […]. La minoranza deve essere una voce critica e propositiva per il partito, la maggioranza deve avere un orecchio pronto ad ascoltare proposte e suggerimenti, l’insieme dei gruppi dirigenti deve avere l’obbligo di rispettare questa comunità, vincolando scelte e decisioni al coinvolgimento della base del partito, attraverso un modello partecipativo organizzato con nuovi strumenti tecnologici: noi proponiamo una piattaforma digitale – che sperimenteremo anche in questo congresso –  e che consentirebbe a milioni di italiani iscritti al PD, di mandare le proprie proposte, di partecipare a tutte le decisioni importanti, di essere coinvolti nella stesura dei programmi elettorali, di poterne verificare l’attuazione a tutti i livelli, di essere collegati agli eletti. […] Questa idea di coesione nazionale e sociale, che è stata fondamento della costruzione del Partito Democratico, è stata ridotta in questi anni alla teoria della rottamazione, della selezione degli eletti per fedeltà al capo, dell’autosufficienza delle decisioni prese a colpi di maggioranza e della retorica contrapposizione fra forze dominanti e sconfitti, perdendo il senso della costruzione di una casa comune per la democrazia italiana. Noi adesso, dobbiamo ricostruire questa casa comune, per unire un Paese diviso, anche da una visione ipertrofica dell’io solo al comando, con cui è stata intesa e costruita la leadership”.

Come secondo aspetto, della mia “Critica al Renzismo”, ritorno a sottolineare come il PD non sia più il partito dei deboli, bensì delle classi dominanti, non più dei cittadini, ma delle elite e delle lobby. Ritengo che Renzi sia, in qualche misura, un esecutore dalle elite economico, finanziarie, imprenditoriali, internazionali che hanno sempre tirato le leve della politica italiana, nell’ombra. Queste ultime sono quelle che hanno lavorato per escludere sistematicamente il PCI dal governo della Prima Repubblica, che hanno poi assunto Berlusconi come loro alfiere ed ora hanno fatto la stessa cosa con Renzi: il loro obiettivo è demolire alcune conquiste sociali e democratiche fondamentali dell’Italia post-bellica; con Renzi ci sono in gran parte riusciti, perché questi ha avuto un vantaggio rispetto a Berlusconi, ossia il fatto che egli ha potuto attaccarle partendo “da sinistra”. Vi sono molte evidenze a sostegno di questa tesi. Innanzi tutto, alcuni provvedimenti del governo Renzi:

  1. La “Buona Scuola” che ha creato una frattura devastante fra il PD e gli operatori della scuola (tradizionalmente zoccolo duro del suo elettorato), sotto tanti aspetti: il trasferimento forzato di inseganti dal sud al nord, la presenza di studenti e genitori nel comitato di valutazione (una follia rispetto a quello che è oggi la diffidenza reciproca fra tali gruppi), ma, soprattutto, la cosiddetta “Alternanza Scuola Lavoro” che è forse è il più grande danno fatto negli ultimi anni al comparto istruzione, perché non solo sottrae un sacco di tempo allo studio, ma BUONA PARTE DI QUESTA viene svolta in orari curricolari, così che gli insegnati sono disperati perché si trovano la classe vuota almeno un quarto delle vote e NON RIESCONO A FINIRE I PROGRAMMI; questo è un disastro, perché renderà l’Italiano medio ancora più ignorante di quanto sia oggi.
  2. Il Jobs Act è un’altra misura contestatissima; personalmente non sono espertissimo di diritto e mercato nel lavoro, ma l’abolizione dell’Art. 18 è chiaramente uno scalpo del sindacato e dei lavoratori per accontentare le elite di cui sopra, essendo qualcosa che hanno lottato per decenni per cancellare. La mozione di Michele Emiliano afferma: “Di fronte a questa situazione, il pacchetto di interventi sul mercato del lavoro enfaticamente denominato “Jobs Act”, ha avuto come unico esito concreto quello di incrementare sperequazioni e disuguaglianze sociali a danno di chi lavora, di ridurre le tutele per i lavoratori, senza determinare un reale aumento dell’occupazione”.
  3. L’aumento del tetto massimo per le transizione in contanti, da 1000 a 3000 euro, con la Legge di Stabilità 2015. Un regalo all’evasione.
  4. La flat-tax per attirare i ricchi stranieri!
  5. Il provvedimento che permettere che continuino le estrazioni di idrocarburi, già in essere, entro le acque territoriali Italiane, oltre la scadenza delle concessioni, fino all’esaurimento dei giacimenti. Provvedimento a favore dei petrolieri, a cui 5 consigli regionali (tra cui quello della Puglia di Michele Emiliano) si sono molto opportunamente opposti con un referendum di iniziativa regionale, purtroppo fallito per mancanza di quorum (qui trovate la mia posizione in merito).
  6. Il taglio indiscriminato dell’IMU prima casa che ha interessato anche i patrimoni immobiliari di grande valore, con la Legge di Stabilità 2015.
  7. La “Riforma Elettorale” che ha rappresentato forse il più grande fallimento della classe politica attuale la quale, essendoci le sue poltroncine in gioco, è riuscita nel capolavoro di non essere capace di fare delle leggi costituzionalmente accettabili, così da avere, per i due rami del parlamento, due leggi diverse, entrambe per effetto dell’intervento della Corte Costituzionale. Ma una di queste leggi era stata imposta a colpi di maggioranza con fiducia ed era iper-maggioritaria, uccidendo la rappresentatività, tanto da venire poi opportunamente demolita dalla Consulta.
  8. Discorso analogo per la Riforma Costituzionale, imposta nel modo già specificato, causando una terrificante spaccatura nel partito e nel paese, che avrebbe provocato una grave deformazione democratica (qui la mia posizione in merito).

In secondo luogo, è opportuno menzionare talune vicende che hanno interessato personaggi contigui al governo Renzi, in questi anni. Onde evitare equivoci, sottolineo che, nella fattispecie, non mi interessa minimamente l’aspetto legale-processuale delle vicende: chi è stato indagato/archiviato/processato/condannato/assolto. Mi interessa che esse abbiano messo in luce, appunto, la contiguità tra il governo Renzi, nelle persone di vari suoi esponenti, e vari centri di potere economico/lobbistici (possiamo definirle, volendo, “amicizie inopportune”), ossia un confine labile fra politica ed affari, il che, per me, è un fatto di rilevanza politica.

  1. L’inchiesta “Sistema”, che ha portato alle dimissioni (opportune) del ministro Lupi, ha evidenziato contatti tra pezzi del governo e lobby delle “Grandi Opere”.
  2. L’inchiesta “Tempa Rossa”, che ha portato alle dimissioni (opportune), del ministro Guidi, ha evidenziato contatti tra pezzi del governo e lobby del “petrolio”.
  3. La vicenda “Banca Etruria”, cha in qualche modo tirato in ballo un parente stretto dell’allora ministro delle Riforme.
  4. L’inchiesta CONSIP, in cui sono coinvolti un ministro molto vicino a Renzi ed un suo famigliare stretto. Michele Emiliano ha dichiarato a La7: “Qui la situazione è comica se non tragica. C’è un’indagine gigantesca dove chi subiva la concussione non denuncia. Quelli che stavano indagando vengono fregati. E’ una roba che avrebbe fatto saltare uno Stato. Ed invece sembra che sia tutto tranquillo, sono tutti al loro posto e nessuno dice una parola. Una roba da far paura”.

Ma, forse, l’evidenza maggiore del fatto che il PD è diventato il partito delle elite si ottiene osservando la distribuzione dei voti, a Torino; tanto i voti espressi per Piero Fassino alle scorse amministrative, quanto il “sì” al referendum, lo scorso dicembre, si sono concentrati nelle zone borghesi, mentre il “no” nelle zone popolari (esattamente il contrario di quanto accadeva in passato). Evidentemente, almeno gli elettori, condividono tale mia visione (basta leggere questo articolo).

Ebbene, tutto questo deve finire: il PD non può essere (o anche solo esse percepito) come il partito dei potenti, degli affaristi; non può essere il partito che accetta od, addirittura, accentua le diseguaglianze sociali, bensì deve essere il partito dei deboli, il partito che cerca di ridurre tali diseguaglianze. Occorre che “lo Stato e le sue articolazioni si assumono la responsabilità e l’impegno di rimuovere gli ostacoli materiali di partenza, che impediscono il raggiungimento di questi obiettivi: la visione di una piena uguaglianza delle opportunità, come principale finalità politica e sociale della Repubblica, nell’agire concreto dell’insieme delle politiche pubbliche, per mettere tutti i cittadini nelle stesse condizioni di partenza”. Occorre “un recupero della tassazione ordinaria sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari […]” ed “una convincente politica di recupero dell’evasione; l’introduzione nel nostro ordinamento della tassazione per le multinazionali che operano in Rete (webtax), con l’obiettivo di garantire equità fiscale e concorrenza leale in una economia digitale, attraverso il contrasto all’evasione fiscale tipica delle transazioni online […]”, perché “Il limite della politica sul fisco degli ultimi anni è stato non avere il coraggio di intervenire sui redditi e sulle imposte indirette al fine di modificare la composizione delle entrate fiscali. Sul fisco oggi in Italia non è garantita l’equità: da un lato c’è chi accumula sempre più ricchezza e dall’altro chi ha sempre meno certezze; equità, etica, ridistribuzione, devono essere il punto fermo per le misure legislative connesse al fisco. Dobbiamo superare la politica dei bonus per rimettere al centro i diritti […]”, quindi “finanzieremo la decontribuzione strutturale sul lavoro con le risorse stanziate per gli 80 euro che rappresentano dei bonus, la cui scarsa efficacia è stata dimostrata nelle audizioni parlamentari sulla legge di Bilancio, sia da Banca d’Italia che da Istat. Con il bonus degli 80 euro lo Stato impiega oltre lo 0,7 del Pil per ritrovarsi benefici di spinta alla crescita dello 0,2. Un’operazione fallimentare”. E, soprattutto, occorrono “trasparenza, legalità, regole chiare e definite, a tutela dell’interesse collettivo e non delle lobbyes; vanno affermate con nuovi dispositivi legislativi che sanciscano la netta distinzione fra il ruolo del politico e quello del lobbista. Serve una legge nazionale sul lobbyng, come già avviene in moltissimi Paesi, compreso il Parlamento europeo”.

E questo ci porta ad un ulteriore tema, ossia la gigantesca “questione morale” che investe la politica tutta ed il PD in particolare. Essendo che la politica è divenuta, in larga misura, pura gestione del potere consolidato ed anche come conseguenza dello scadimento morale della società, moralità e legalità sono decaduti in modo esponenziale nella classe dirigente di questo paese. Questo è il più grande vulnus del sistema Italia e la più grande sfida che investe tutti noi; eppure, in questo congresso se ne parla pochissimo.

Della necessità improrogabile di “onestà” si riempiono la bocca gli esponenti del M5S (che, però, predicano bene e razzolano malissimo, vedasi Roma, Quarto, Livorno, ecc.), eppure questa rappresenta un’istanza assolutamente fondamentale e del tutto condivisibile, a cui noi stessi dobbiamo avere la forza di dare una risposta se non vogliamo che gli elettori si rivolgano ai pentastellati. Io credo che l’unica strada sia l’intransigenza morale: selezionare una classe dirigente sulla base del rigore assoluto, sulle qualità morali dei soggetti che dimostrino tanto nei comportamenti pubblici che in quelli privati, e che, soprattutto, siano in grado di dare esempi positivi, cui la società possa ispirarsi, altrimenti non si uscirà mai dal circolo vizioso di un classe dirigente immorale che ispira una società immorale, che, a sua volta elegge una classe dirigente immorale. Credo che sia imperativo che chi ricopre un ruolo lo faccia con “disciplina ed onore” (Cost. della Repubblica Italiana, art. 54); ad esempio, che ogni volta che un esponente politico è anche solo indagato in un inchiesta debba immediatamente lasciare lo scanno, perché l’interesse della cosa pubblica deve prevalere sui diritti individuali e tutelare la credibilità di una istituzione dovrebbe essere la priorità (ricoprire una carica essere un dovere prima che un diritto). Lo affermo senza alcun tipo di ritegno: che il mio partito contribuisca ad evitare la decadenza di un parlamentare condannato in via definitiva è qualcosa che non esito a definire “indecente”.

Neanche Emiliano si spinge sufficientemente in avanti nell’affermare questi principi (sulla vicenda Minzolini si è detto “addolorato”), eppure (come dimostrano le già citate affermazioni sul caso CONSIP è il candidato (anche in quanto ex-magistrato) di cui più mi sento di fidarmi per mettere la centro tali istanze. Come scrive nella sua mozione: “Moralità, correttezza e verità – dire ciò che si pensa, fare ciò che si dice – sono per noi le chiavi di volta per ricostruire un pensiero democratico, una cultura democratica opposta ai populismi, che sia guida per una società più giusta”.

Il fallimento politico di Renzi si misura anche negli insuccessi elettorali collezionati nei suoi anni da segretario, che si spiegano, in gran parte, con la polarizzazione che egli ed il suo atteggiamento hanno provocato nell’elettorato, l’antipatia suscitata, la voglia di dargli/ci una “lezione”. Dopo l’iperbole  delle regionali-europee (in cui gli elettori hanno attribuito grande credito alla “novità”, rapidamente dissipato), tutte le consultazioni successive hanno dato esito via via più nefasto: dalle regionali 2015, alle amministrative 2016, in cui la perdita di controllo di grandi città come Torino e Roma è un passaggio assai significativo, fino all’infausto referendum del 4 dicembre. Nessuno di queste sconfitte ha visto una seria riflessione sulla direzione che si stava intraprendendo e del perché gli elettori ci stavano inviando dei segnali via via meno difficili da interpretare.

Voglio infine citare una tematica per me assolutamente fondamentale: quella ambientale; forse la più grande sfida politica di questo millennio, perché da essa dipende la vita di migliaia di persone: pensiamo alla gente che muore in Italia (soprattutto nella pianura padana) a causa dell’inquinamento (potete leggere, ad esempio, questo articolo) o coloro che muoiono a Taranto per le emissioni di carbone dell’ILVA. Qualcuno si vuole decidere a prendere di petto questo problema? A differenza di quanto accade in Europa dove avanzano prepotentemente i Verdi (vedasi Austria ed Olanda), in Italia la questione ambientale è poco sentita, probabilmente perché non è qualcosa che si “vede” e non sembra avere ricadute materiali immediate. Emiliano è colui che sta portando avanti la battaglia sulla tremenda vicenda dell’ILVA ed è colui che ha dimostrato un coraggio fuori dal comune nel portare avanti il referendum sulle “trivellazioni”. Io credo che su queste tematiche l’unica strada sia di affrontare di petto le questioni con scelte radicali. Emiliano è l’unico candidato che mi da l’impressione di poter fare ciò e, nella sua mozione, scrive: “Ciò rende indispensabile un forte rilancio di politiche economiche innovative, non più contrapposte alla salute e all’ambiente, ma che coniughino il lavoro e l’impresa con il rispetto della vita umana e della natura”.

Si accusa Emiliano di essere uno pseudo-grillino. Io sono d’accordo con questa definizione, ma non le do in alcun modo un’accezione negativa: il M5S nasce da istanze condivisibilissime e profondamente sentite, come rifiuto/alternativa a questa deriva “antipopolare” dei partiti tradizionali ed ha il pregio di mantenere alta l’attenzione su tematiche fondamentali quali quelle che ho cercato di illustrare; istanze di onestà e trasparenza, eguaglianza, solidarietà e sensibilità ambientale, che è assolutamente imperativo soddisfare, affinchè la democrazia possa sopravvivere.

Purtroppo, a parte queste istanze positive di base, il M5S è un disastro sotto molteplici punti di vista: una classe dirigente in larga misura non all’altezza, spesso portata all’aggressività verbale, non sempre propensa all’approfondimento ed all’elaborazione intellettuale, una base con caratteristiche analoghe ed un sistema di gestione del potere assolutamente non democratico, algoritmico ed aziendalista.

Al Movimento 5 Stelle non deve essere permesso di andare al governo (da solo), ma succederà inevitabilmente, se il PD non saprà rappresentare quelle istanze che il M5S invece riesce ad interpretare così bene (almeno da un punto di vista meramente elettorale). Se non siamo percepiti come il partito dei cittadini, invece che delle elite, siamo destinati a morire. È troppo facile sparare a zero sull’amministrazione di Chiara Appendino (che, peraltro, ne sta combinando di cotte e di crude), come fanno molti nostri dirigenti, senza comprendere quale sia il motivo per cui siano ora loro a governare la città. È accaduto perché noi siamo stati percepiti come il partito dell’establishment e loro come quello del popolo: se non invertiamo la tendenza, se non torniamo ad essere il partito dei cittadini, pulito, probo e disinteressato, allora gli avremo consegnato le chiavi dell’Italia, come gli abbiamo già dato quelle di Torino e Roma, con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche. Come scrive Michele Emiliano nella sua mozione: “Noi non siamo nati per essere il partito dell’establishment, come spesso ci vede il nostro popolo, snaturando la nostra identità”.

In questo senso, penso che Emiliano sia “positivamente grillino”.

Spenderò ora una parola sulla candidatura di Andrea Orlando. Sono costretto a constatare che la sua componente è stata alfiere (spesso intransigente) del renzismo fino a poche settimane prima dell’avvio dell’iter congressuale ed egli stesso è stato Ministro del Governo Renzi e lo è attualmente del Governo Gentiloni. In conseguenza di ciò, trovo una certa difficoltà a vedere nella candidatura di Andrea Orlando una reale alternativa a Renzi, bensì tendo piuttosto di ravvisare in esso una candidatura opportuna, pensata per attrarre voti nella base ex-ds (che ad ogni congresso tende sempre ad aggregarsi su piattaforme simili: partito solido, centralismo democratico, ecc., come ha fatto prima con Bersani e poi con Cuperlo) e sono profondamente convinto che il soggetto in questione si accorderà nuovamente con Renzi, a congresso concluso.

Concludendo, credo che Michele Emiliano sia la l’unica possibilità di riportare il PD a quella che dovrebbe essere la sua vocazione popolare e non elitaria e, quindi, l’unico modo di togliere spazio ai partiti populisti, interpretando istanze profonde dell’elettorato che altrimenti ad essi si rivolgerebbe; in ultima analisi, di salvare quel che resta della Democrazia.

Se vogliano un partito che non tenti più di stravolgere la Costituzione a colpi di maggioranza, andando contro il suo stesso Manifesto dei Valori, ma sia rispettoso della forma e della sostanza delle nostre regole istituzionali, come concepite dai nostri padri costituenti…

Se non vogliamo un partito che contribuisca a salvare dalla decadenza parlamentari condannati in via definitiva, ma assuma la legalità assoluta come tema fondante per la rinascita dell’Italia…

Se non vogliamo un partito che alzi il limite delle transizioni in contanti, proponga la flat-tax per i superricchi ed abolisca l’Imu anche sugli immobili di gran valore, ma si preoccupi dell’inclusione sociale, della povertà e dell’eguaglianza…

Se non vogliamo un partito che faccia favori a petrolieri, costruttori, banchieri ed affaristi, ma stabilisca dei confini molto chiari fra politica ed affari e cerchi di attuare una reale redistribuzione della ricchezza dei cittadini…

Se non vogliamo un partito che punti sulla trivellazione del nostro suolo e del nostro mare e tagli i fondi per i malati dell’ILVA, ma tenti di costruire un’economia diversa, basata sulla green economy e le energie alternative e, soprattutto, metta la vita e la salute prima degli affari…

Se non vogliamo un partito che risulti odiato da gran parte dell’elettorato, isolato politicamente e costretto ad allearsi di nuovo con Alfano e Verdini, bensì un partito che possa essere apprezzato e votato da ampi settori dell’elettorato stesso e possa forgiare alleanze che possano dare una prospettiva di reale progresso sociale, civile ed economico…

Se, soprattutto, non vogliamo un partito del “capo”, plebiscitario ed intollerante, di gufi, professori e ciaoni, ma rispettoso della pluralità, dell’opinione di tutti e caratterizzato da una leadership diffusa…

…allora, a mio parere, c’è solo una strada: votare Michele Emiliano il 30 aprile.

Grazie per l’attenzione.

Riccardo Tassone