La situazione finanziaria degli enti locali è talmente critica da non permettere pressoché alcun investimento con risorse pubbliche. Gli unici strumenti che ha l’amministrazione per realizzare opere di pubblica utilità sono quelli relativi agli “oneri di urbanizzazione”, alla “concessione del diritto di superficie”, del “sottosuolo”, ecc. In pratica ci si appoggia ai privati, concedendo loro di edificare su determinati terreni (edifici, centri commerciali, parcheggi pertinenziali, ecc.), in cambio della realizzazione di opere pubbliche (giardini, piste ciclabili, ecc.). Personalmente, preferirei che non sussistesse questa dipendenza dai privati e che l’amministrazione potesse realizzare in prima persona le opere di pubblica utilità, ma questo è evidentemente impossibile.

Ed allora, la questione si sposta sul terreno della vigilanza, affinchè sia massima la tutela dell’utilità pubblica delle opere, o più precisamente, sia massimizzato il rapporto fra utilità pubblica ed utilità privata.

Molte delle operazioni che i privati portano avanti, oggi, infatti, sembrano avere una caratterizzazione di pura speculazione edilizia: non possiamo ritenere sensato continuare con la costruzione di nuovi edifici residenziali e parcheggi pertinenziali, laddove il mercato immobiliare, in stato comatoso, si è chiaramente dimostrato incapace di assorbirli. Secondo un rapporto della Polizia Municipale del 2014, sono stati censiti 49.283 alloggi sfitti. Esempio lampante, la questione del parcheggio interrato di Corso Marconi, che verrà approfondita successivamente.

Allora, dovrà essere nostro dovere vigilare che le nuove opere che si andranno a realizzare massimizzino l’utilità pubblica e minimizzino la speculazione privata, cioè nel “tira e molla” delle trattative tra l’amministrazione ed i privati, si cerchi di ottenere il maggiore vantaggio per il pubblico ed il minore vantaggio per il privato (consapevoli che, se le condizioni sono particolarmente sfavorevoli, il privato non investirà). Inoltre, occorre che le opere di pubblica utilità vengano realizzate prima e non alla fine dei lavori, dopo quelle economicamente più vantaggiose (vedasi caso “Molino di Cavoretto”). Tutto ciò, può declinarsi in modi diversi, in contesti diversi. È, ad esempio, opportuno, nelle future varianti urbanistiche, limitare l’indice territoriale massimo (la grandezza che, in qualche modo, quantifica il rapporto fra l’altezza degli edifici ed il suolo che occupano) ad un valore massimo di 0,6.

Tutto ciò ha una valenza principalmente di tipo ambientale, perché la finalità deve essere la massima limitazione possibile alla cementificazione, al consumo di suolo ed alla costruzione di nuovi edifici residenziali, parcheggi pertinenziali, centri commerciali. C’è però anche l’aspetto economico: non ha alcun senso costruire opere che il mercato non è in grado di assorbire.

Tutto ciò non può essere realizzato direttamente dalla Circoscrizione, se non attraverso l’espressione di pareri che comunque sono uno strumento importante, anche se poco incisivo. Occorre una forte azione di pressione politica nei confronti dei livelli superiori affinchè questo tipo di attenzione trovi effettivo riscontro.

 

Riccardo Tassone

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