1. L’EMERGENZA AMBIENTALE
Anche se, in genere, non emerge nel dibattito pubblico quotidiano, uno dei fattori che maggiormente influenzano l’andamento dell’economia è l’approvvigionamento energetico. In un certo senso, è stata proprio la grande disponibilità di energia a costo relativamente basso (fondata sullo sfruttamento del petrolio), che ha permesso lo sviluppo economico e sociale della società moderna (ad esempio, la possibilità di andare in pensione, cosa che prima dell’economia del petrolio era impossibile). Non ci si può nascondere che la tematica dell’approvvigionamento energetico sia una delle questioni più delicate che l’umanità tutta dovrà affrontare nei prossimi decenni. La sfida per l’individuazione e lo sfruttamento di nuove fonti energetiche è una delle più importanti del 21° secolo. Ma al pari fondamentale è un ripensamento della logistica di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia elettrica e termica, nell’ottica del risparmio (sia energetico che economico), dell’efficienza e dell’adattabilità rispetto ad un sistema che sta rapidamente cambiando.
Così come sta cambiando il clima. Negli ultimi anni, sempre più spesso, si sono verificati eventi meteorologici e climatici anomali e per certi versi estremi (aumento della potenza degli uragani negli Stati Uniti, ondate di caldo anomalo in Thailandia, piovosità estremamente intensa in Cina, ecc.), anche nel nostro paese (si pensi alla siccità anomala la scorsa estate e lo scorso autunno che ha provocato una ondata di incendi boschivi, o il cosiddetto “Buran” che ha portato un’ondata di freddo eccezionale, la quale, anche se può sembrare strano è stata provocata da un riscaldamento eccessivo del polo, in quel sistema così complesso che è il Clima). Questi eventi sono in qualche modo ascrivibili al riscaldamento globale (la primavera 2017 è la terza più asciutta dal 1800 ad oggi, con un’anomalia di +1,9 °C) che provoca un aumento dell’energia nell’atmosfera e che ha, in gran parte, origine antropica, in particolare a causa dell’emissione di gas serra nell’atmosfera. Infatti, quest’ultima, non è riscaldata direttamente dalla radiazione solare incidente, perché questa ha lunghezze d’onda troppo piccole e si limita a riscaldare la crosta terrestre che rilascia radiazione di lunghezza d’onda maggiore (infrarosso) la quale, a sua volta, riscalda l’atmosfera. Questa radiazione viene poi dispersa nello spazio, ma i gas serra hanno l’effetto di trattenere parte di questa energia: maggiore è la concentrazione di gas serra, maggiore è la quantità di energia trattenuta e maggiore è il riscaldamento dell’atmosfera (in particolare la troposfera). Certo, questi gas sono anche fondamentali per permettere la vita sulla Terra, perché in loro assenza, la temperatura media si attesterebbe sui -18 °C. Ma, a partire dalla rivoluzione industriale, gli effetti antropici hanno iniziato ad alterare gli equilibri. Vari studi confermano che la Terra assorbe dal Sole più energia di quella che rilascia nello spazio, una differenza nell’ordine di 0,85 W/m2 (watt per metro quadrato). Nel corso dell’ultimo secolo sembra che la temperatura media globale sia aumentata di un valore compreso fra 0,6 e 1 °C. Il livello e la temperatura medi dei mari è cresciuto, quasi tutti i ghiacciai del mondo si stanno ritirando, i deserti si stanno espandendo e, come abbiamo detto, i fenomeni atmosferici estremi stanno, purtroppo, diventando assai frequenti. I principali gas serra sono il vapore acqueo, l’anidride carbonica (prodotta in grande quantità, perché deriva da ogni tipo di combustione, tra cui quella dei combustibili fossili), il metano, gli alocarburi, il protossido d’azoto, l’ozono.
C’è poi il problema dell’inquinamento, quindi l’impatto ambientale sulla salute umana e animale. L’aria malsana, secondo l’OMS, è il fattore ambientale di maggiore rischio per la salute umana, responsabile di circa 7 milioni di decessi nel mondo, ossia il 12% del totale delle morti premature. In Italia, l’inquinamento atmosferico, provoca ogni anno circa 85mila morti premature (il peggiore dato a livello europeo), a causa delle micropolveri sottili, il biossido di azoto, l’ozono, l’ ammoniaca, il metano (una buona parte deriva dall’industria della carne, che produce il 65% del protossido d’azoto emesso in atmosfera e il 44% del metano). Secondo uno studio dell’ENEA, l’inquinamento accorcia la vita di ciascun italiano di 10 mesi in media (la pianura padana, in particolare, è una camera a gas) e il danno è anche economico (ad esempio in termini di giornate di lavoro perso e di interventi sanitari, per una perdita di ricchezza nazionale del 4,7% di PIL).
Infine, c’è un problema strettamente connesso all’approvvigionamento. Lo sviluppo economico straordinario che sta interessando una gran numero di paesi fino a ieri considerati del “terzo mondo” porta con sé una sempre maggiore domanda di energia da parte di questi paesi e la parallela diminuzione, sempre più rapida, delle risorse energetiche non rinnovabili, il che dipinge uno scenario molto fosco. Se non si inverte la tendenza, si rischia di marciare verso una crisi energetica, dal momento che le riserve di idrocarburi andranno in esaurimento nei prossimi decenni (si stima che le riserve di petrolio dureranno per circa 70 anni), così come quelle di combustibile nucleare (si stima che le riserve di Uranio potrebbero durare da 55 a 85 anni, sempre che il numero di reattori non aumenti ). A quel punto, a meno che non si sia stati in grado di convertire l’approvvigionamento energetico su fonti di energia rinnovabile, si rischia di incorrere in una crisi che provocherà una catastrofe sociale ed economica (probabilmente causando guerre, migrazioni, carestie, epidemie, ecc.) che potrebbe comportare un arretramento sostanziale del livello di sviluppo della nostra società facendola retrocedere sensibilmente e riportandola ad un’economia tale per cui la potenza che saremo in grado di consumare non potrà essere superiore a quella che estraibile dal Sole.
Dovrebbe essere, pertanto, chiaro a tutti che il contrasto dei fattori inquinanti, la tutela dell’ambiente, del clima, della salute e della biodiversità dovrebbero essere prioritari rispetto anche a tematiche pure importanti come economia e occupazione e dovrebbero essere la principale priorità per qualsiasi partito o qualsiasi governo. Eppure, soprattutto in Italia (basta ripensare al dibattito dell’ultima campagna elettorale), la tematica ambientale è quasi assente dal dibattito pubblico, perché non porta consenso immediato.
Noi crediamo che questa tendenza vada invertita e che sia assolutamente imprescindibile uno scatto in avanti, un atto di coraggio che aggredisca in modo sostanziale le suddette problematiche.
Le fonti dell’inquinamento atmosferico e dell’emissione di gas serra possono essere le più diverse e non tutte sono di origine antropica, cionondimeno si possono raggruppare, sostanzialmente, in traffico veicolare, riscaldamento domestico, agricoltura, artigianato ed industria ed, in quest’ultima categoria, annoveriamo anche la generazione di energia. Ed è proprio sulla generazione e distribuzione di energia elettrica e termica che ci concentreremo in questo articolo.
2. FONTI DI ENERGIA
Ma che cosa è l’Energia?
È una grandezza difficile da definire, perché non è riconducibile ad alcun ente materiale, eppure è un concetto di capitale importanza non solo per la nostra economia, ma per la nostra stessa vita. L’energia è la grandezza fisica che misura la capacità di un sistema fisico di compiere lavoro. Quest’ultimo, a sua volta, è una grandezza fisica molto ben definita, purtuttavia possiamo comprendere il significato di questa definizione in termini intuitivi; in pratica, per poter fare qualunque cosa abbiamo bisogno di energia e pressoché qualsiasi azione che compiamo non è altro che la trasformazione da una forma di energia ad un’altra. Ad esempio, una persona che cammina converte l’energia chimica contenuta nel glucosio che ha ottenuto con l’alimentazione, in energia cinetica, cioè in movimento. L’energia è una misura della nostra capacità di agire, senza energia non possiamo fare nulla!
L’energia si conserva, non si può creare dal nulla, quindi, per avere a disposizione energia e compiere “lavoro” occorre avere a disposizione già una qualche forma di energia, da convertire nella forma che a noi interessa per i nostri scopi, ossia una “fonte di energia” in qualche modo presente in natura.
Le fonti di energia si suddividono in
- Fonti Rinnovabili (ossia che sono naturalmente reintegrate in una scala temporale umana).
- Fonti Non Rinnovabili (che, una volta utilizzate non possono essere reintegrate in tempi brevi).
Le Fonti di Energia Non Rinnovabili si dividono in
- Combustibili fossili, che sono stati creati dalla degradazione di sostanze organiche, seppellite nel sottosuolo, per periodi di milioni di anni e che contengono energia chimica che può essere convertita in energia termica (e poi, eventualmente, in altre forme: cinetica come accade, ad esempio, nei trasporti, elettrica, tramite un impianto termoelettrico, ecc.) mediante combustione. Si suddividono in:
- Carbone
- Petrolio
- Gas Naturale
- Combustibili nucleari, principalmente isotopi dell’Uranio e, soprattutto, Uranio 235, che contiene energia sotto forma di massa di nuclei pesanti che può essere sfruttata mediante Fissione Nucleare, all’interno di un reattore e convertita in energia termica (a sua volta convertibile in energia elettrica, in un impianto elettronucleare).
Le principali Fonti di Energia Rinnovabile (FER) sono
- Biomasse (legna, rifiuti, biogas, bioliquidi), anche queste sfruttabili tramite combustione e quindi responsabili di emissioni.
- Idraulica: Energia gravitazionale immagazzinata in masse d’acqua ad alta quota che può essere convertita, tramite un impianto idroelettrico, facendo scorrere l’acqua a valle, in energia cinetica e poi elettrica.
- Geotermica: Energia Termica naturalmente presente nel sottosuolo della terra (in parte dovuta a decadimento radioattivo di elementi fissili naturali), sfruttabile mediante cicli geotermoelettrici, o per il riscaldamento (ad esempio mediante Pompe di Calore).
- Eolica: Energia cinetica delle masse d’aria in movimento, ossia del vento, sfruttabile mediante aerogeneratori, ossia pale eoliche, che la convertono in energia elettrica (interessante la prospettiva di sfruttamento dei venti di alta quota, detto eolico troposferico).
- Solare: Energia Radiante contenuta nella radiazione elettromagnetica prodotta dal sole e che giunge sulla terra. Può essere convertita direttamente in energia elettrica (fotovoltaico), oppure in energia termica (solare termico), oppure prima in energia termica e poi elettrica (solare termodinamico).
- Energia Marina: L’Energia contenuta, in varie forme, nei mari e negli oceani, ad esempio cinetica (energia delle correnti marine, energia mareomotrice, ossia delle maree, energia del moto ondoso), energia chimica (energia a gradiente salino o osmotica che sfrutta la diversa concentrazione del sale fra l’acqua di mare e l’acqua dolce) e termica (energia talassotermica, che sfrutta la differenza di temperatura fra la superficie oceanica e le profondità, mediante un ciclo termoelettrico).
Ovviamente, all’orizzonte c’è sempre il traguardo della Fusione Nucleare che, se il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) avrà successo, nella seconda metà del secolo, potrebbe contribuire ad alleviare i nostri problemi energetici.
Lo sfruttamento dei combustibili fossili (per la generazione termoelettrica, il riscaldamento ed i trasporti) è uno dei fattori di maggiore impatto ambientale, in termini di emissione di gas serra e sostanze inquinanti (non solo dalla combustione, ma dall’intero processo, compresi raccolta, lavorazione e distribuzione). Il peggiore è il carbone, seguito dai prodotti petroliferi ed infine dal gas naturale.
Purtroppo, le fonti rinnovabili hanno una densità energetica (cioè la quantità di energia immagazzinata in un sistema per unità di massa o volume) molto minore dei combustibili fossili (per ricavare la stessa quantità di energia che ottengo bruciando petrolio, ho bisogno di una grande quantità di pannelli solari) ed enormemente più bassa dell’uranio. Inoltre, l’energia ricavata dai combustibili fossili risulta avere un costo relativamente basso (è questa disponibilità di energia che ha permesso lo sviluppo della nostra società industriale), mentre le FER hanno normalmente dei costi molto più elevati. Questo rende difficile convincere i governi (soprattutto quelli dei paesi in via di sviluppo, che stanno avendo grande beneficio economico dallo sfruttamento dei combustibili fossili) e l’establishment economico a convertire la produzione di energia verso le rinnovabili.
3. L’EFFICIENZA ENERGETICA
L’altro aspetto fondamentale dell’impatto del sistema energetico sull’ambiente è quello dell’Efficienza Energetica.
Che cosa si intende per “Efficienza Energetica”?
Abbiamo già detto che pressoché qualunque processo naturale o artificiale consiste in una trasformazione di una forma energia in un’altra. Oltre all’esempio della persona che cammina, possiamo illustrare quello di una centrale idroelettrica che trasforma l’energia potenziale gravitazionale (dovuta al fatto che l’acqua è immagazzinata più in alto delle turbine), prima in energia cinetica (legata al moto dell’acqua che scorre verso valle) e poi, tramite un gruppo turbina-alternatore, in energia elettrica. Una lampadina, converte l’energia elettrica in energia luminosa.
Il problema è che il II Principio della Termodinamica, che nella formulazione di Kelvin-Planck afferma: “E’ impossibile realizzare una trasformazione che abbia come UNICO EFFETTO la trasformazione in lavoro del calore assorbito da una sorgente a temperatura uniforme”.
In pratica, questo significa che una macchina (intendendo con “macchina” anche un organismo biologico) non è in grado di convertire completamente una forma di energia in un’altra, una parte di tale energia viene buttata, dispersa, normalmente nella forma di calore rilasciato nell’ambiente.
Una parte dell’energia del glucosio, si trasforma in calore, così come una parte dell’energia cinetica dell’acqua nella centrale, si disperde a causa dell’attrito delle tubazioni. Non tutta l’energia elettrica assorbita dalla lampadina viene convertita in energia luminosa, la maggior parte viene dispersa, di nuovo, sotto forma di calore.
Per stabilire quanto la macchina sia capace di
non disperdere l’energia che consuma, si definisce una grandezza detta efficienza o rendimento, che è il rapporto fra l’energia in uscita (ad esempio l’energia elettrica prodotta dalla centrale o l’energia luminosa della lampadina) e l’energi
a in ingresso (ossia l’energia potenzi
ale dell’acqua nella diga o l’energia elettrica consumata dalla lampadina):
Il II principio afferma che questa grandezza è sempre minore o uguale di 1, quindi l’efficienza è esprimibile come un numero compreso fra 0 e 1 (oppure in percentuale) e fornisce una misura di quanta energia riesco a ottenere a parità di energia consumata: più l’efficienza è vicina a 0, più energia spreco, più è vicina a 1, meno ne spreco. Maggiore è l’efficienza, minore è l’energia che devo usare per ottenere lo stesso risultato. L’efficienza è quindi un parametro fondamentale dell’approvvigionamento e del consumo energetico. Più sono efficienti i sistemi di produzione, trasporto e consumo, minore energia dovrò produrre e consumare e quindi ne avrò un vantaggio in termini economici ed ambientali. L’efficienza di una macchina dipende dal tipo di processo che svolge e dalle sue caratteristiche costruttive. In generale, più il processo sarà tecnologicamente avanzato, maggiore sarà l’efficienza. La semplice combustione è tra i processi più inefficienti.
È altresì fondamentale anche il semplice risparmio energetico, che significa, semplicemente, evitare di sprecare energia inutilmente. Ciò passa soprattutto da un cambiamento culturale e di abitudini: ad esempio, non lasciare gli elettrodomestici in standby, non lasciare le lampade accese, ecc.
4. CONTRASTO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Per tentare di arginare il cambiamento climatico, fu firmato, nel 1997, il protocollo di Kyoto, ratificato da 141 Paesi, di cui 39 industrializzati, ma entrato in vigore solo nel 2005. Gli stati aderenti si sono impegnati, per il periodo 2008-2012, a ridurre, rispetto ai livelli del 1990, le emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra.
Però, gli Stati Uniti (che producono il 23,5% dei gas serra) non hanno aderito e alcuni paesi formalmente “non industrializzati”, tra cui, la Cina, l’India e il Brasile non erano soggetti ad alcun obbligo, nonostante stiano diventando i maggiori responsabili delle emissioni.
A seguito degli accordi di Kyoto, la UE (che su questi temi è quasi sempre più avanti degli altri) si è mossa autonomamente ed ha elaborato il “Piano 20 20 20”, entrato in vigore nel giugno 2009 e valido dal gennaio 2013 fino al 2020. Esso prevede di ridurre le emissioni di gas serra del 20%, di alzare al 20% la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e portare al 20% il risparmio energetico, entro il 2020.
In seguito, è stato firmato l’accordo sul clima di Parigi (la cosiddetta COP21), nel dicembre 2015, universale e giuridicamente vincolante, entrato in vigore nel novembre 2016, ratificato da 195 paesi, che rappresenta una pietra miliare della decarbonizzazione (in pratica, la diminuzione dell’impiego dei fossili).
I principali obblighi previsti sono
- Cercare di contenere l’aumento medio della temperatura mondiale, al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali.
- Cercare di limitare l’aumento a 1,5°C.
- Raggiungere il livello massimo di emissioni globali, nel più breve tempo possibile (con un occhio di riguardo per i paesi in via di sviluppo).
- In seguito, procedere a rapide riduzioni, sfruttando le soluzioni tecnico-scientifiche più avanzate possibili.
- Sostenere internazionalmente i paesi in via di sviluppo per facilitarne l’adattamento.
Il principale soggetto che ha spinto per raggiungere questi obiettivi è stata la UE, che, ratificando l’accordo, ha permesso la sua entrata in vigore il 4 novembre 2016.
Purtroppo, il fatto che non siano previste sanzioni per i paesi che non adempiano agli obblighi previsti, unitamente al fatto che gli Stati Uniti, su decisione di Donald Trump (forse la peggiore che abbia preso), lo abbiano abbandonato, mette a serio repentaglio la sua efficacia.
5. LO SCENARIO ENERGETICO GLOBALE, EUROPEO, ITALIANO
Riportiamo di seguito alcuni dati sull’attuale scenario relativo all’approvvigionamento energetico ed al come si sta evolvendo.
Secondo la SEN (Strategia Energetica Nazionale) 2017, La domanda di energia globale è stimata in crescita del 18% al 2030, sebbene in decelerazione.
In particolare, per il tasso composito di crescita annuo suddiviso per tipologia di fonte, ci si attende:
- Nucleare: +2,6%.
- Rinnovabili: +2,4%.
- Gas Naturale: +1,5%.
- Carbone: +0,2%.
- Prodotti Petroliferi: +0,5%
Le rinnovabili crescono significativamente (a causa della diminuzione dei costi dovuto al progresso tecnologico, per cui si attende una riduzione del 40 – 70% per il fotovoltaico e del 10 – 25% per l’eolico), così come il gas (soprattutto in Cina e Medio Oriente). Secondo il rapporto “Global Trends in Renewable Energy Investment 2018”, nell’arco del 2017 sono installati nel complesso 157 GW di potenza elettrica da rinnovabili, contro i 143 GW del 2016, oltre il doppio rispetto ai nuovi impianti basati sui combustibili fossili (70 GW). L’elettricità mondiale generata tramite FER (considerando piccoli impianti idroelettrici, ma non grandi dighe), sale dall’11% del 2016 al 12,1% del 2017; in termini di CO2 significa 1,8 Gt di anidride carbonica non emessa. Tutto ciò, però, è merito della Cina più che di Europa e Stati Uniti. Sempre secondo la SEN, cala la produzione di petrolio e la domanda di carbone (-40% in UE e -30% in USA nel 2030). La domanda dei prodotti petroliferi è diminuita progressivamente, spingendo alla riconversione di raffinerie in bioraffinerie e depositi.
A livello europeo, i consumi finali da rinnovabili sono giunti al 17,0% nel 2016 (l’obiettivo della Commissione Europea è di ridurre le emissioni di gas serra almeno dell’80% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990). Ma la dipendenza energetica dei paesi UE, cioè la quantità di energia che è necessario importare da fuori degli stessi resta del 54%. In UE, il gasolio rappresenta il carburante più utilizzato dai consumatori, rispetto alla benzina. Il cambiamento nel mix di carburanti unito a una riduzione importante della domanda (circa il 20% negli ultimi 10 anni) hanno messo in crisi il sistema di raffinazione europeo.
In Italia, dal 2008, si è andati incontro ad una riduzione della domanda elettrica (dovuta ad efficienza energetica e crisi economica) ed il nostro paese (e questa è la buona notizia) presenta una penetrazione delle rinnovabili sulla produzione elettrica nazionale di circa il 39%, rispetto al 30% in Germania, 26% in UK e 16% in Francia. Eppure, tra i paesi europei, l’Italia è quello con la più alta dipendenza dal gas, che rappresenta circa il 35% dei consumi energetici primari ed il 40% della produzione lorda di energia elettrica nel 2015 (rispettivamente il 15% ed il 4% in Francia, il 20% ed il 17% in Spagna, il 23% ed il 12% in Germania). Inoltre, la produzione nazionale di gas nel 2016, nonostante le riserve ancora disponibili, è calata a circa 5,8 miliardi di metri cubi all’anno, coprendo circa l’8% dei consumi. L’Italia ha, inoltre, importato 61 milioni di tonnellate di greggio nel 2016, in contrazione rispetto al 2015 (-2,5%), ma la dipendenza italiana dall’import per il greggio è del 94% (dati AIE). Il ruolo dei prodotti petroliferi è ancora forte, soprattutto nel settore dei trasporti ed essi continueranno ancora per alcuni decenni a ricoprire un ruolo fondamentale nel Paese
Negli ultimi 15 anni l’incidenza della spesa energetica delle famiglie sul totale è aumentata (fino al 2013 di quasi un punto percentuale). Tale incremento è risultato maggiore per le famiglie meno abbienti a causa della relativa incomprimibilità dei consumi energetici (la cosiddetta povertà energetica)
L’Italia si è impegnata a implementare un aumento significativo di fondi pubblici dedicati alla ricerca in campo energetico.
Interessante è anche l’aspetto occupazionale. Gli occupati temporanei, nel settore della generazione elettrica da FER generati nel 2011 ammontavano a poco più di 100.000 ULA (Unità Lavorative Annue), mentre nel 2016 le ULA attivate sono state 16.310. Gli occupati permanenti sono costantemente cresciuti passando da poco più di 26.600 ULA nel 2011 a oltre 39.500 ULA nel 2016.
Le emissioni di gas a effetto serra da usi energetici rappresentano oltre l’80% del totale nazionale pari, nel 2015, a circa 433 Mton di CO2 equivalente. La restante quota di emissioni deriva da fonti non energetiche, essenzialmente connesse a processi industriali, allevamenti e rifiuti.
L’efficienza energetica sta migliorando: nel 2015, l’intensità energetica (che misura l’efficienza energetica rispetto all’economia di una nazione: è il rapporto fra l’energia consumata ed il PIL) è scesa del 4,3% rispetto al 2012. L’efficienza energetica costituirà circa il 90% della crescita di spesa annuale prevista.
Possiamo quindi concludere che, per quanto lento e per molti versi insoddisfacente, lo sviluppo delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER), anche in Italia, è un processo progressivo ed irreversibile, molto più rapido rispetto alle previsioni. Più in generale, il sistema energetico ha recentemente subito una notevole trasformazione tecnologica e questa tendenza risulterà ancora più marcata in futuro, per varie cause, ad esempio lo scadimento dei profitti sulla vendita dell’energia, il decentramento della produzione, la tensione verso il risparmio energetico, l’incremento dell’efficienza e delle FER, ecc. (secondo uno studio di Greenpeace, nel 2050 l’autoproduzione potrebbe coprire fino al 45% della domanda dell’UE, in Italia il 34%). Lo scorso marzo, le FER hanno coperto integralmente i consumi energetici in Portogallo e qualcosa di simile è avvenuto lo scorso maggio in Scozia.
Del resto, il settore Termoelettrico sta già manifestando sintomi di crisi (si osservi quanto accaduto in Germania): si è assistito ad una riduzione drastica del numero delle ore di funzionamento delle centrali termoelettriche a gas, che ne ha appunto minato la sostenibilità economica, mentre le centrali ad olio combustibile sono diventate tendenzialmente antieconomiche e quindi inutilizzate.
È assai rilevante il fatto che la diffusione delle rinnovabili comporterà anche l’aumento della generazione distribuita e incrementerà il ruolo del cosiddetto “prosumer” (produttore-consumatore), il che comporta la necessità di individuare una regolamentazione del fenomeno assicurando, da un lato la sicurezza del sistema, dall’altro la tutela dei consumatori e l’equa ripartizione degli oneri di rete e di sistema (gli oneri di sistema sono gli aggravi in bolletta finalizzati a coprire i costi relativi ad attività di interesse generale per il sistema elettrico, quali incentivi per le rinnovabili, sostegno alla ricerca, ecc. e che hanno un peso molto rilevante sulla bolletta stessa).
6. IMPRESCINDIBILITA’ DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA
Sulla base di tutto ciò, possiamo concludere che è imperativo produrre ogni sforzo verso una transizione in direzione di un nuovo modello di approvvigionamento, distribuzione e consumo energetico. La tensione verso un sistema energetico sostenibile deve essere sostanzialmente rivolta verso due direzioni:
- La massima riduzione possibile della dipendenza da combustibili fossili o comunque da processi ad elevata emissioni di gas serra e sostanze inquinanti (quindi transizione verso le FER).
- Il massimo dell’efficienza Energetica.
La società del petrolio e, in generale, degli idrocarburi ha permesso gran parte del benessere attuale dell’umanità, ma, a causa delle emissioni prodotte della loro combustione, ha effetti deleteri sulla salute e sul riscaldamento globale.
Ora, in questo contesto, è però essenziale valutare anche l’impatto ambientale provocato dalla FER (il fotovoltaico per il consumo di suolo, l’eolico per l’inquinamento visivo, l’idroelettrico per l’impatto delle dighe sull’habitat e l’inquinamento acustico, ecc.). In ambito ambientale, infatti, non vi è nessun processo e nessuna tecnologia che non abbia qualche genere di impatto, perché l’ambiente è un sistema integrato e complesso.
Ad esempio, l’economia del petrolio ha provocato una forte urbanizzazione che, a sua volta, ha diminuito l’utilizzo di suolo agricolo permettendo rilevanti processi di rinaturalizzazione e rimboschimento spontaneo nelle aree montane e collinari. Sfruttare forme di energia autoctone (ad esempio biomoassa, come legna) potrebbe avere un impatto negativo sulla biodiversità. Occorre, quindi, che la transizione sia regolamentata in modo da tutelare anche questi aspetti.
7. UNA NUOVA LOGISTICA DELLE RETI
Ma la produzione da FER presuppone una metodologia di produzione, trasporto e diffusione differente rispetto alle fonti energetiche tradizionali sulle quali sono modellate le attuali reti di distribuzione. Esse, infatti, hanno una struttura a “stella”, ossia sono basate su centri di produzione centralizzati (il termine “centrali” non è casuale), ad elevata potenza, che poi distribuiscono l’energia elettrica attraverso una rete trifase di natura unidirezionale. Le FER, invece, hanno una natura molto differente: essendo per lo più di piccola e media taglia, quindi di bassa potenza, incostanti nella produzione (si pensi al fotovoltaico) e spesso localizzabili solo in determinate zone (si pensi all’eolico) sono maggiormente adatte ad una produzione diffusa sul territorio e, per certi aspetti, maggiormente “democratica”. Ma una simile funzionalità, richiede appunto, una filosofia molto diversa nell’approccio della gestione e della distribuzione. Ad esempio, a causa della difficoltà della programmazione della produzione, il loro rendimento migliora se si sfruttano tecnologie di gestione della domanda.
Come già detto, la penetrazione delle rinnovabili sulla produzione elettrica nazionale raggiunge circa il 39% rispetto al 30% della Germania, il 26% del Regno Unito e il 16% della Francia. La transizione è quindi in corso ed il nuovo paradigma che si sta determinando, basato su generazione intermittente e di piccola taglia, causa già adesso criticità dovute ad una maggiore complessità di gestione, una crescente richiesta di flessibilità dovuta alla minore capacità di programmazione di alcune fonti rinnovabili e, come sottolineato, una riduzione della capacità termoelettrica (si è già avuta una diminuzione di 15 GW di capacità tra il 2012 ed il 2016). Quest’ultima, in particolare, sta mutando il proprio ruolo: non più fonte di generazione fortemente utilizzata, bensì strumento di flessibilità, complementarietà e supporto al sistema ed il fenomeno è destinato ad intensificarsi con l’ulteriore crescita delle fonti rinnovabili al 2030.
Quindi, l’aumento delle rinnovabili, che è di per sé un fatto estremamente positivo, richiede un’evoluzione delle reti di trasmissione e di distribuzione altrimenti può generare squilibri nel sistema elettrico.
8. LE COMUNITA’ ENERGETICHE COME VETTORE DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA
Quindi, vi sono varie esigenze da compenetrare: ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, accelerare la transizione verso le FER, massimizzare l’efficienza energetica ed adattare il sistema verso una produzione decentrata. Con quali strumenti raggiungere tutto ciò?
L’obiettivo finale dovrebbe essere la trasformazione dell’attuale rete di distribuzione tradizionale a “stella”, con una “smart-grid”, ossia l’accoppiare la rete elettrica (e termica) con una rete di scambio di informazione che le permetta di essere gestita in modo “intelligente” ed efficiente; una rete intelligente, modulare, con produzione diffusa dell’energia, capacità di stoccaggio e tecnologia di gestione della domanda, in modo tale da massimizzare l’efficienza energetica, minimizzare le perdite ed i costi ed, in tal mondo, diminuire (possibilmente azzerare attraverso l’utilizzazione delle FER), l’impatto ambientale dell’intero comparto energetico. In pratica, si immagina una generazione “sparsa” di energia (fotovoltaico, micro-eolico, micro-idroelettrico, ecc.), coinvolgendo i singoli utenti sia come produttori sia come fruitori, rendendoli essi stessi protagonisti della produzione energetica, attraverso vari centri di produzione sul territorio, a potenza limitata (quindi non “centrali”), possibilmente rinnovabili, con la capacità di regolare produzioni e consumi in modo “intelligente”, stoccare energia in eccesso e reimpiegarla quando necessario.
Si tratta di un obiettivo ambizioso e molto lontano da raggiungere nel tempo. Quale potrebbe essere una strategia tecnica e politica per facilitare tale transizione? La risposta a questa domanda potrebbe essere rappresentata dalle cosiddette “Comunità Energetiche” (CE).
Le “Comunità Energetiche” possono essere definite nel seguente modo: “un insieme di utenze che decidono di fare scelte energetiche comuni al fine di massimizzare i risparmi derivanti dall’utilizzo dell’energia, attraverso soluzioni di generazione distribuita e di gestione intelligente dei flussi energetici” (Fonte: Osservatorio GDF Suez). I vantaggi derivanti dall’implementazione delle Comunità Energetiche sono diversi, tra cui la riduzione delle bollette energetiche, l’incremento dell’efficienza e diminuzione delle perdite della rete, la riduzione dell’impatto ambientale; ma, la trasformazione del sistema produrrebbe anche una trasformazione sociale, non solo producendo nuovi posti di lavoro, ma anche ingenerando una maggiore consapevolezza della gestione dell’energia e quindi anche una nuova socialità.
In città, una CE potrebbe manifestarsi come un condominio o un gruppo di condomini (ad esempio quelli di un isolato) che decidono di produrre, immagazzinare e gestire al proprio interno la propria energia; in campagna o in montagna, una CE potrebbe essere realizzata in una frazione.
Un aspetto fondamentale è l’integrazione del settore elettrico con quello termico, perché questo sviluppa delle prospettive interessanti da un punto di vista tecnologico (ad esempio utilizzo di FER per alimentare pompe di calore, immagazzinamento termico a bassa entalpia).
Simbolicamente, le CE impersonano la nuova etica ambientale ed una società più responsabile da un punto di vista dell’approvvigionamento e del consumo energetico e possono valorizzare le risorse energetiche locali, nonché rappresentare un innovativo strumento per sperimentare modelli nuovi di business, di aggregazione e di utilizzo di nuove tecnologie.
Esse manterrebbero, comunque, una forte connessione con la rete elettrica e termica, essendo in grado, in caso di necessità, di attingere da essa, o, in caso di surplus di produzione rispetto alle loro necessità, di vendere energia ad altri utenti.
Il fatto che, come abbiamo visto, la penetrazione delle FER in Italia sia molto rilevante potrebbe fare sì che il nostro paese sia un terreno fertile per sviluppare questo nuovo modello di produzione e consumo.
Per riassumere, i vantaggi rappresentati dall’implementazione delle CE sono
- Riduzione spesa di approvvigionamento (cioè della bolletta).
- Ottimizzazione del prelievo di energia dalla rete e del carico complessivo.
- Miglioramento della qualità e affidabilità della fornitura.
- Integrazione delle FER.
- Riduzione perdite della rete.
- Riduzione della produzione di CO2.
Si calcola che, qualora si sviluppasse anche solo il 5% del mercato potenziale delle CE, si potrebbe generare un volume di affari pari a circa 29 miliardi di euro ed esse potrebbero contribuire dal 10% al 30% alla riduzione di emissioni previste dalla Strategia Energetica Nazionale. La riduzione di CO2 potrebbe variare tra 3,3 e 11 milioni di tonnellate/anno e il risparmio del costo legato alle emissioni, tra i 26 e i 78 miliardi di euro/anno.
Ovviamente, sussiste il rischio che le Comunità energetiche, senza precise regole nella legge, possano anche causare impatti “indotti” su altri elementi dell’assetto ambientale, ad esempio per procurarsi l’accessibilità alle risorse.
9. ASPETTI TECNOLOGICI DELLE CE
Quali sono i requisiti delle CE?
Il primo requisito necessario all’implementazione di una Comunità Energetica è la disponibilità delle tecnologie abilitanti, le quali presentano diversi livelli di convenienza, maturità tecnologica ed applicabilità e che si possono suddividere in tre categorie:
- Produzione, utilizzo e stoccaggio di energia.
- Intelligenza.
- Infrastruttura.
Innanzi tutto, la generazione distribuita (GD), ossia l’insieme dei sistemi di potenza inferiore a 10 MVA (Megavoltampere; il voltampere è un unità di misura della potenza apparente, equivalente al Watt) che è l’elemento tecnologico che permette di coinvolgere comunità di soggetti nella generazione: la GD e la MG (microgenerazione, ossia sistemi di potenza inferiore a 50 kWe) sono gli elementi essenziali per realizzare, grazie all’implementazione delle ICT (Information and Comunication Technologies), le CE
Tra le tecnologie di produzione, si annoverano il fotovoltaico (molto matura, ma soggetta al venire meno degli incentivi), micro-eolico (che è ancora piuttosto immatura), micro-idroelettrico, solare termico, pompe di calore (dispositivi in grado di estrarre calore da una sorgente a temperatura inferiore, ad esempio dal geotermico o dalla falda e trasferirlo ad una a temperatura maggiore), cogenerazione.
Alle tecnologie di produzione vanno affiancate le utenze energetiche smart, fondamentali per l’implementazione dell’efficienza energetica: smart appliances, building automation, sistemi di illuminazione efficienti e veicoli elettrici.
Fondamentali, poi, per rendere indipendente una CE basata su energie rinnovabili (quindi incostanti), sono i sistemi di storage (immagazzinamento) dell’energia. La soluzione più immediata è, naturalmente, costituita dai sistemi di accumulo elettrochimico (batterie) soggette però ad alcune ben note limitazioni (elevati costi di investimento, scarsa affidabilità e sicurezza, problemi ambientali legati allo smaltimento); in alternativa vi sono altri sistemi di accumulo di energia elettrica e termica: accumulo meccanico (pompaggio idroelettrico, CAES : Compressed Air Energy Storage, volano), accumulo elettrico (supercondensatori, SMES), accumulo chimico ad idrogeno, syngas, che però sono ancora piuttosto immature sotto il profilo tecnologico e quindi anche economico, anche se, negli ultimi anni, si è verificato un importante sviluppo tecnologico..
Le tecnologie di «intelligenza» sono quelle che consentono di gestire i flussi energetici all’interno di una CE, attraverso il controllo da remoto degli impianti di produzione, accumulo e consumo dell’energia presenti all’interno di una EC; per la loro implementazione, sono evidentemente fondamentali le ICT (Information and Communication Technology: tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Sia per quanto riguarda gli Hardware (SCADA, UNITA’ DI CAMPO) che i software, il livello di maturità tecnologico è buono.
Infine, sono necessarie le tecnologie infrastrutturali che consentono lo scambio dei flussi energetici ed informativi tra i vari dispositivi di produzione, stoccaggio, consumo e gestione dell’energia all’interno di una CE, ossia la rete di distribuzione (elettrica e di teleriscaldamento) e di comunicazione fra i vari componenti di una CE. Dal punto di vista delle reti di distribuzione, se da un lato si possono sfruttare quelle esistenti, ci si deve confrontare con i problemi di regolamentazione degli stessi e della realizzazione di nuove infrastrutture. Come infrastrutture di comunicazione si posso utilizzare reti cablate (fibra ottica, Power Line Communication ossia l’utilizzazione degli stessi cavi attraverso cui è trasportata l’elettricità, Digital Subscriber Lines ossia la linea telefonica) oppure wireless, tutte soluzioni che hanno già raggiunto una buona maturità tecnologica.
10. ASPETTI ECONOMICI DELLE CE
Il secondo requisito di una CE è, ovviamente, la fattibilità economica.
Per valutarla, occorre tenere presente che esistono differenti ambiti di sviluppo delle C. E., più precisamente, diversi “paradigmi” sulla base delle tipologie di utenti che le dovrebbero comporre, ciascuno con un differente insieme di tecnologie necessarie e di benefici: residenziale, terziario (centri commerciali, ospedali, campus universitari, ecc.), Industriale, e misto (urbano ed extra urbano). Nel caso del paradigma “residenziale” i maggiori benefici saranno legati alla riduzione, precisamente, della bolletta energetica.
In Italia sono già presenti dei casi di studio riconducibili a CE, come “Leaf Community” a Savona, “Smart Polygeneration Microigrid” a Savona, “Smart Domo Grid” a Brescia, ma è stata ipotizzata una sperimentazione anche in Piemonte, nel Pinerolese. Trattandosi, però, di progetti sperimentali, promossi o partecipati da università/enti di ricerca, produttori di tecnologie, utility ed integratori di sistema, l’interesse risiede nella dimostrazione della fattibilità «tecnica» di una CE, trascurando, a questo stadio, considerazioni di carattere economico e sono, in buona parte, supportati da finanziamenti pubblici (principalmente ministeriali), al fine di promuovere l’integrazione «innovativa» di tecnologie.
Invece, nel valutare la sostenibilità economica delle CE, occorre considerare molte diverse variabili: utenze energetiche, il rapporto fra il fabbisogno energetico prima o dopo l’implementazione delle CE, il costo delle tecnologie ed i benefici; in definitiva i fattori che determinano la sostenibilità economica sono il volume di investimento necessario (spese iniziali per implementare la CE) e vari tipi di indicatori economici (come il Pay Back Time, ossia il tempo dopo il quale si rientra dell’investimento iniziale e si comincia a guadagnare).
Diversi “paradigmi” comporteranno differenti prospettive di convenienza economica. A titolo di esempio, un condominio composto da 30 unità abitative richiederebbe un investimento inziale di 715000 € ed un PBT = 14 anni, e un risparmio energetico del 63% (dati 2013). A Fronte di questi dati, occorre però considerare la progressiva diminuzione del costo delle tecnologie abilitanti (eolico-d, cogenerazione\trigenerazione-d, e-mobility, batterie ed altri sistemi di accumulo) che raggiungeranno (in parte già anche raggiunto) un grado di maturazione tale da abbatterne sensibilmente il costo. Nel caso del paradigma che abbiamo considerato come esempio, questo implicherebbe un abbattimento del 7% del costo dell’investimento iniziale (666000€) e un PBT=13 anni. Gli altri paradigmi (commerciale, ospedaliero, industriale, ecc.) presentano, comunque, indicatori, già oggi, assai più favorevoli.
Più in generale, occorre considerare i potenziali scenari di diffusione delle C. E. nel nostro paese. Sempre in riferimento al paradigma “residenziale”, ipotizzando una numerosità dei condomini pari a 372250 unità, in uno scenario minimale di copertura del 5% del mercato teorico, si può stimare un volume d’affari pari a 23,3 miliardi di euro (ossia di influenza sull’economia generale del paese).
Nell’ottica di uno sviluppo strategico delle C. E., occorre che comunità di utenze (private, pubbliche, o miste) localizzate in una determinata area di riferimento in cui gli utenti (cittadini, imprese, Pubblica Amministrazione, ecc.), gli attori di mercato (utilities, ecc.), i progettisti, gli addetti alla pianificazione ed i politici cooperino attivamente per sviluppare livelli elevati di fornitura «intelligente» di energia: favorendo l’ottimizzazione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili e dell’innovazione tecnologica nella generazione distribuita; abilitando l’applicazione di misure di efficienza, al fine di ottenere benefici sulla economicità, sostenibilità e sicurezza energetica.
E’ chiaro che i costi elevati dell’investimento iniziale sono ancora molto alti. Per contrastare questo problema, occorrerebbe la presenza di ESCO ed un nuovo sistema di incentivi (ci torneremo).
11. ASPETTI NORMATIVI DELLE CE: LEGISLAZIONE ITALIANA
Per quanto riguarda l’aspetto normativo, la legislazione nazionale, a causa della posizione dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambienti (ARERA), oggi non consente di costituire comunità Energetiche in forma completa, ma soltanto il cosiddetto “scambio in loco”, cioè la reimmissione di energia in surplus nella rete, mentre non prevede lo scambio con altri utenti singoli.
Esistono alcuni riferimenti normativi che riguardano le fattispecie attualmente previste dalla legislazione italiana, assimilabili alle CE, ossia SEU, SESEU, RIU, SSPC, RIU, Cooperative Elettriche ed oggi le Oil Free Zone, su cui torneremo a breve.
In base a tale quadro normativo, emerge che, ad oggi, in Italia, le infrastrutture in qualche modo assimilabili alle CE sono, innanzi tutto, i Sistemi di Distribuzioni Chiusi, in particolare le Reti Interne d’Utenza (RIU) per quanto concerne le reti di distribuzione ed i sistemi semplici di Produzione e Consumo (SSPC), tra cui cooperative e consorzi storici. Essi non prevedono, però, norme tassative di applicazione di misure di efficienza energetica. L’unica fattispecie che rappresenta una concreta implementazione della Comunità Energetica è costituita dai Sistemi Efficienti di Utenza (SEU). Di fatto, il legislatore si è limitato a normare stati di fatto, colmando lacune prodotte dall’innovazione tecnologica.
Ora, tale quadro normativo, oltre al fatto di essere essenzialmente concentrato sul sistema elettrico, escludendo quello termico, risulta estremamente frammentario, generico, interpretabile (e spesso interpretato in modo differente) e, soprattutto, manca di una esplicita menzione e di una esplicita normazione per le CE. Ciò è causa di notevoli ritardi nello sviluppo delle stesse in Italia; pesano, inoltre, i problemi legati alla sostenibilità finanziaria del sistema (ad esempio la questione relativa agli Oneri di Sistema, per i quali, però, l’Autorità per l’Energia ed il Gas ha decretato che non si applicano all’energia autoconsumata) ed il fatto che manchi uno scenario di sviluppo a lungo termine, con la valutazione che tale impatto potrebbe avere sul sistema nazionale, ad esempio, in termini di sicurezza delle reti e sulla distribuzione. Altro nodo rilevante è il fatto che il tema delle CE sia al centro di un complesso nodo di interessi da parte di vari attori in campo (Utility, Produttori da FER, Distributori, Utenti) ed è difficile pertanto intervenire normativamente dovendo alterare interessi consolidati.
Di recente, però, è intervenuta qualche novità interessante. Nella legge 221/2015 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento e l’uso eccessivo di risorse naturali), all’articolo 71, viene introdotto il concetto di “Oil free zone”.
Si intende per «Oil free zone» “un’area territoriale nella quale, entro un determinato periodo di tempo e sulla base di specifico atto di indirizzo adottato dai comuni del territorio di riferimento, si prevede la progressiva sostituzione del petrolio e dei suoi derivati con energie prodotte da fonti rinnovabili”.
La costituzione di “Oil free zone” è promossa dai comuni interessati, in alcuni casi d’intesa con gli enti parchi. Nelle “Oil free zone” sono avviate sperimentazioni, concernenti la realizzazione di prototipi e l’applicazione sul piano industriale di nuove ipotesi di utilizzo dei beni comuni, con particolare riguardo a quelli provenienti dalle zone montane, attraverso prospetti di valutazione del valore delle risorse presenti sul territorio.
Le regioni disciplinano le modalità di organizzazione delle Oil Free zone, ed una legge regionale (la legge n. 271) in merito dovrebbe essere giustappunto approvata dal Consiglio Regionale del Piemonte nei prossimi mesi.
Sarà interessante approfondire in che modo le Oil Free Zone saranno assimilabili a CE e quali aspetti delle CE sarà possibile realizzare per mezzo di questa legge, in particolare, se la Legge Regionale 271 potrà superare le difficoltà legislative enunciate ad inizio paragrafo. Una sperimentazione in tal senso, è stata avviata nel comune di Cantalupa, nel Pinerolese.
12. ASPETTI NORMATIVI DELLE CE: LEGISLAZIONE EUROPEA
Come spesso accade, la legislazione europea è più avanti di quella italiana.
Innanzi tutto il “”programma 20/20/20”, nato per far fronte al sostanziale fallimento dei protocolli di Kyoto che prevede, tramite una serie di atti risalenti al 2009 (tra cui la Direttiva 2009/28/EC), alcune norme vincolanti volte a garantire che l’UE raggiunga i suoi obiettivi in materia di clima ed energia entro il 2020 e che definisce tre obiettivi principali:
- Taglio del 20% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990).
- 20% del fabbisogno energetico ricavato da fonti rinnovabili.
- Miglioramento del 20% dell’efficienza energetica.
La Direttiva 2009/28/EC è stata riformulata dalla Commissione ITRE (energia, ricerca e industria) del Parlamento Europeo, in particolare, per quanto riguarda i punti 54 e 55.
Come si legge, ad esempio sulle osservazioni svolte dal Comune di Cantalupa al PdL regionale n. 271, l’emendamento riconosce i cittadini autoproduttori di rinnovabili, non più solo come consumatori o come produttori, ma come produttori/consumatori (“prosumers”). Gli Stati UE dovranno garantire a tutti i consumatori di energia il diritto di:
- Produrre, stoccare e autoconsumare energia rinnovabile senza pagare tasse, oneri e simili.
- Vendere senza intermediari l’energia autoprodotta
- Associarsi nella produzione, nello stoccaggio e nel consumo su scala locale, formando una comunità dell’energia rinnovabile.
- Pagare oneri di rete equi e vendere alla rete elettrica a prezzo equo i surplus di energia autoprodotta: il prezzo dovrà essere come minimo pari a quello di mercato, con la possibilità di un prezzo più alto per tener conto del valore aggiunto che i piccoli produttori offrono alla società e all’ambiente.
- Rendere accessibile l’autoproduzione, lo stoccaggio e l’autoconsumo di energia rinnovabile anche agli inquilini, alle persone con basso reddito e a coloro che abitano in case popolari
- Prevedere procedure semplificate ed alleggerire gli oneri burocratici a carico degli autoproduttori e comunità dell’energia.
- Strutturare gli incentivi per le rinnovabili in modo tale che i cittadini che producono energia e le comunità dell’energia siano in grado di competere su un piede di parità con i grandi produttori. Va inoltre a vantaggio dei piccoli produttori il divieto a modificare retroattivamente al ribasso gli incentivi.
Se tutto ciò fosse attuato, sarebbe un grande passo verso le CE.
Il 17 gennaio 2018, il Parlamento ha espresso sostegno per l’obiettivo di una quota di energia da fonti rinnovabili pari ad almeno il 35 % di tutta l’energia entro il 2030 e ha ribadito l’importanza dell’autoconsumo come diritto, il che è il segnale di un forte indirizzo verso la decarbonizzazione dell’Europa.
In questi anni, vi sono state ulteriori determinazioni significative, riportate dalla SEN:
- Nel 2011 la Comunicazione della Commissione europea sulla Roadmap di decarbonizzazione ha stabilito di ridurre le emissioni di gas serra almeno dell’80% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990, per garantire competitività e crescita economica nella transizione energetica e rispettare gli impegni di Kyoto.
- Nel 2016 è stato presentato dalla Commissione il Clean Energy Package che contiene le proposte legislative per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e del mercato elettrico, la crescita dell’efficienza energetica, la definizione della governance dell’Unione dell’Energia, con vari obiettivi al 2030: quota rinnovabili pari al 27% dei consumi energetici a livello UE, riduzione del 30% dei consumi energetici (primari e finali) a livello UE, rispetto allo scenario di riferimento 2007. Inoltre, ha esteso il regime obbligatorio di efficienza energetica per ogni stato membro (articolo 7 della direttiva 27/2012/UE al 2030). La proposta di estensione dell’Effort Sharing Decision al 2030 (redatta a luglio 2016) prevede nuovi target obbligatori di riduzione delle emissioni da settori non-ETS (residenziale, servizi e larga parte del settore trasporti) per ogni Stato la proposta fissa un target di riduzione per l’Italia pari a 33% rispetto ai livelli del 2005.Tra i principali contenuti della proposta, c’è la promozione dell’autoconsumo e delle energy communities.
- Per i Mercati elettrici, l’Electricity Market Design, ambisce a supportare l’evoluzione dei sistemi elettrici per renderli idonei a gestire l’integrazione delle fonti rinnovabili, la generazione distribuita, la partecipazione attiva della domanda e la sicurezza degli approvvigionamenti. Tra i principali contenuti proposti, è evidenziata la centralità del consumatore come motore della transizione energetica, da declinare in un maggiore coinvolgimento della domanda ai mercati tramite l’attivazione della demand response, l’apertura dei mercati ai consumatori ed auto-produttori (anche tramite aggregatori) e lo sviluppo regolamentato di energy communities. Nel contesto di elevata generazione distribuita, viene evidenziata la centralità dei distributori (DSO) e la necessità di evoluzione del loro ruolo promuovendone l’efficienza e flessibilità; o viene rafforzato ulteriormente il regime di unbundling tra gestori di rete e le attività di mercato;
- Le proposte relative all’Efficienza energetica sono incluse nelle nuove direttive Efficienza Energetica (EED) e Prestazione Energetica degli Edifici (EPBD).Tra i principali contenuti proposti, è definito l’obiettivo di riduzione del 30% dei consumi energetici (primari e finali) a livello UE, viene esteso il regime obbligatorio di risparmio annuo (pari a 1,5% dell’energia media consumata nel triennio 2016-2018) al periodo 2021-2030, sono definiti requisiti per lo sviluppo e l’integrazione negli edifici commerciali/industriali delle infrastrutture necessarie per soddisfare la mobilità alternativa prevista dalla DAFI e si sancisce l’obbligo di stabilire una roadmap di rinnovamento degli edifici al 2050.
13. LA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE 2017
Il nostro paese, per garantire un minimo di programmazione riguardo alle proprie politiche energetiche, utilizza lo strumento della Strategia Energetica Nazionale (SEN). Quella attualmente in vigore risale al 2013. Lo scorso novembre, il governo italiano, per iniziativa dei ministri dello Sviluppo Economico Calenda e dell’Ambiente Galletti ha prodotto, dopo un’ampia consultazione, la SEN 2017; essa non è stata ancora approvata e l’onere ricadrà quindi sul nuovo governo.
Di seguito, si riporta il testo integrale della sintesi.
Con D.M. del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è stata adottata la Strategia Energetica Nazionale 2017, il piano decennale del Governo italiano per anticipare e gestire il cambiamento del sistema energetico.
Obiettivi qualitativi e target quantitativi
L’Italia ha raggiunto in anticipo gli obiettivi europei – con una penetrazione di rinnovabili del 17,5% sui consumi complessivi al 2015 rispetto al target del 2020 di 17% – e sono stati compiuti importanti progressi tecnologici che offrono nuove possibilità di conciliare contenimento dei prezzi dell’energia e sostenibilità.
La Strategia si pone l’obiettivo di rendere il sistema energetico nazionale più:
- competitivo: migliorare la competitività del Paese, continuando a ridurre il gap di prezzo e di costo dell’energia rispetto all’Europa, in un contesto di prezzi internazionali crescenti
- sostenibile: raggiungere in modo sostenibile gli obiettivi ambientali e di de-carbonizzazione definiti a livello europeo, in linea con i futuri traguardi stabiliti nella COP21
- sicuro: continuare a migliorare la sicurezza di approvvigionamento e la flessibilità dei sistemi e delle infrastrutture energetiche, rafforzando l’indipendenza energetica dell’Italia
Fra i target quantitativi previsti dalla SEN:
- efficienza energetica: riduzione dei consumi finali da 118 a 108 Mtep con un risparmio di circa 10 Mtep al 2030
- fonti rinnovabili: 28% di rinnovabili sui consumi complessivi al 2030 rispetto al 17,5% del 2015; in termini settoriali, l’obiettivo si articola in una quota di rinnovabili sul consumo
- elettrico del 55% al 2030 rispetto al 33,5% del 2015; in una quota di rinnovabili sugli usi termici del 30% al 2030 rispetto al 19,2% del 2015; in una quota di rinnovabili nei
- trasporti del 21% al 2030 rispetto al 6,4% del 2015
- riduzione del differenziale di prezzo dell’energia: contenere il gap di costo tra il gas italiano e quello del nord Europa (nel 2016 pari a circa 2 €/MWh) e quello sui prezzi
- dell’elettricità rispetto alla media UE (pari a circa 35 €/MWh nel 2015 per la famiglia media e al 25% in media per le imprese)
- cessazione della produzione di energia elettrica da carbone con un obiettivo di accelerazione al 2025, da realizzare tramite un puntuale piano di interventi infrastrutturali
- razionalizzazione del downstream petrolifero, con evoluzione verso le bioraffinerie e un uso crescente di biocarburanti sostenibili e del GNL nei trasporti pesanti e marittimi al posto dei derivati dal petrolio
- verso la decarbonizzazione al 2050: rispetto al 1990, una diminuzione delle emissioni del 39% al 2030 e del 63% al 2050
- raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico clean energy: da 222 Milioni nel 2013 a 444 Milioni nel 2021
- promozione della mobilità sostenibile e dei servizi di mobilità condivisa
- nuovi investimenti sulle reti per maggiore flessibilità, adeguatezza e resilienza; maggiore integrazione con l’Europa; diversificazione delle fonti e rotte di approvvigionamento gas e gestione più efficiente dei flussi e punte di domanda
- riduzione della dipendenza energetica dall’estero dal 76% del 2015 al 64% del 2030 (rapporto tra il saldo import/export dell’energia primaria necessaria a coprire il fabbisogno e il consumo interno lordo), grazie alla forte crescita delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.
Azioni trasversali
Il raggiungimento degli obiettivi presuppone alcune condizioni necessarie e azioni trasversali:
- infrastrutture e semplificazioni: la SEN 2017 prevede azioni di semplificazione e razionalizzazione della regolamentazione per garantire la realizzazione delle infrastrutture e degli impianti necessari alla transizione energetica, senza tuttavia indebolire la normativa ambientale e di tutela del paesaggio e del territorio né il grado di partecipazione alle scelte strategiche
- costi della transizione: grazie all’evoluzione tecnologica e ad una attenta regolazione, è possibile cogliere l’opportunità di fare efficienza e produrre energia da rinnovabili a costi sostenibili. Per questo la SEN segue un approccio basato prevalentemente su fattori abilitanti e misure di sostegno che mettano in competizione le tecnologie e stimolino continui miglioramento sul lato dell’efficienza
- compatibilità tra obiettivi energetici e tutela del paesaggio: la tutela del paesaggio è un valore irrinunciabile, pertanto per le fonti rinnovabili con maggiore potenziale residuo sfruttabile, cioè eolico e fotovoltaico, verrà data priorità all’uso di aree industriali dismesse, capannoni e tetti, oltre che ai recuperi di efficienza degli impianti esistenti. Accanto a ciò si procederà, con Regioni e amministrazioni che tutelano il paesaggio, alla individuazione di aree, non altrimenti valorizzabili, da destinare alla produzione energetica rinnovabile
- effetti sociali e occupazionali della transizione: fare efficienza energetica e sostituire fonti fossili con fonti rinnovabili genera un bilancio netto positivo anche in termini occupazionali, ma si tratta di un fenomeno che va monitorato e governato, intervenendo tempestivamente per riqualificare i lavoratori spiazzati dalle nuove tecnologie e formare nuove professionalità, per generare opportunità di lavoro e di crescita.
Investimenti attivati
La Strategia energetica nazionale costituisce un impulso per la realizzazione di importanti investimenti, incrementando lo scenario tendenziale con investimenti complessivi aggiuntivi di 175 miliardi al 2030, così ripartiti:
- 30 miliardi per reti e infrastrutture gas e elettrico
- 35 miliardi per fonti rinnovabili
- 110 miliardi per l’efficienza energetica
Oltre l’80% degli investimenti è quindi diretto ad incrementare la sostenibilità del sistema energetico, si tratta di settori ad elevato impatto occupazionale ed innovazione tecnologica.
Governance, attuazione e monitoraggio
Il tema dell’energia è trasversale e necessita di una decisa azione di coordinamento tra i vari soggetti (Amministrazioni centrali, Regioni, istituti scientifici) e di collaborazione istituzionale con l’Autorità per l’energia. E’ essenziale inoltre integrare le politiche energetiche con quelle di altri settori e con quelle regionali, in modo da assicurare coerenza d’approccio e cogliere le possibili sinergie, anche per offrire opportunità di sviluppare nuove filiere produttive 4.0
Per questo si prevede l’istituzione di una Cabina di regia, per il monitoraggio dell’attuazione della SEN, costituita dai Ministeri dello sviluppo economico e dell’Ambiente, con la partecipazione dei Ministeri dell’economia, dei trasporti e dei beni culturali, con una rappresentanza delle Regioni e con periodico coinvolgimento degli enti locali, degli stakeholders e delle parti sociali.
Per garantire trasparenza al processo di attuazione, il Governo sarà inoltre tenuto a riferire annualmente al Parlamento sullo stato di implementazione della strategia e sulle iniziative adottate utili al raggiungimento degli obiettivi fissati, nonché ad avviare ogni tre anni un processo partecipato e condiviso di revisione della Strategia.
Questa Strategia non va considerata un punto di arrivo, ma di partenza. Con la sua approvazione parte il lavoro per la presentazione alla Commissione europea entro il 2018 della proposta di Piano integrato per l’energia e il clima (CEP) previsto dall’UE, che dovrà indicare obiettivi al 2030, politiche e misure per le cinque “dimensioni dell’energia”: decarbonizzazione e rinnovabili, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno, innovazione e competitività.
La Strategia Energetica pone obiettivi ambiziosi e complessi. Per raggiungerli servono policy pubbliche efficienti ma il successo della strategia dipende anche dalle azioni di tutti giorni: responsabilizzare i cittadini nelle loro scelte di consumo verso un utilizzo consapevole delle fonti energetiche è essenziale.
La Sen è una scommessa sul futuro del sistema energetico. L’energia per vincerla non ci manca.
Appare, quindi, che alcuni buoni propositi siano stati messi nero su bianco, come un forte incremento della penetrazione delle FER, la cessazione dell’utilizzo di Carbone per la produzione di energia elettrica entro il 2025 (il, cosiddetto, Phase Out del Carbone) e l’incremento dell’Efficienza Energetica. Tuttavia, le menzioni esplicite della CE all’interno del testo sono poche. Segnaliamo il seguente passaggio, nel paragrafo relativo all’efficienza energetica:
Sempre con la finalità di promuovere la consapevolezza dei consumatori nei confronti del risparmio energetico e al contempo minimizzare “l’effetto rimbalzo” di incremento dei consumi, generalmente conseguente agli interventi di efficienza energetica, si rafforzeranno le misure volte al cambiamento comportamentale e, nello specifico, i programmi di formazione e educazione all’efficienza energetica. Inoltre si valuterà la promozione di sistemi integrati di Energy Customer Feedback che sollecitino comportamenti virtuosi del consumatore tramite la comunicazione di feedback real-time sul consumo e la costituzione di community con obiettivi condivisi di risparmio.
Inoltre, parole importanti vengono dette sul tema dell’autoconsumo, anche in questo caso, menzionando esplicitamente le CE.
La diffusione delle rinnovabili e la generazione distribuita sono gli elementi più rilevanti nell’influenzare il processo di evoluzione del settore elettrico. A questi elementi, si aggiunge la domanda, favorita dall’applicazione sempre più diffusa dell’Information Technology all’energia. In questo contesto, il ruolo del consumatore sta cambiando da soggetto passivo ad oggetto attivo in grado di modificare il proprio consumo in risposta ai cambiamenti di prezzo sul mercato e a certe condizioni offrire servizi di rete.
Il processo di liberalizzazione si lega al progresso tecnologico che sta ridefinendo l’architettura del sistema e che porterà presto a un nuovo rapporto consumatore-venditore. A guidare tale evoluzione ci sono specifici sviluppi tecnologici: generazione distribuita, sistemi di accumulo diffusi, elettrificazione dei consumi, modalità di accesso ai dati e alle informazioni. La rapida riduzione cui sta andando incontro il costo della tecnologia consentirà l’accesso di un sempre maggior numero di consumatori ai suddetti strumenti (in primis batterie e pannelli fotovoltaici), favorendo di fatto l’autoconsumo, e lo sviluppo di nuovi servizi e la partecipazione attiva dei piccoli consumatori ai mercati. Questo processo potrà essere sostenuto anche dall’organizzazione di nuovi soggetti aggregatori, incluse le comunità energetiche locali previste dal CEP, che richiederanno un’attenta regolazione in modo da garantire un quadro di riferimento organico e i necessari standard di efficienza e qualità in un sistema sempre più complesso e articolato.
L’innovazione digitale può promuovere nuovi modelli di consumo che già trovano le prime applicazione nell’Internet of Things, nella smart home e nella mobilità elettrica. Tale scenario, coerentemente con il Piano Nazionale Industria 4.0, prefigura nuovi modelli di business, quindi nuove opportunità per l’economia del Paese.
Oltre alle configurazioni di autoconsumo inserite in siti industriali preesistenti (RIU e SESEU), sulla base delle norme attualmente vigenti, le nuove configurazioni realizzabili in autoconsumo sono:
- i sistemi efficienti di utenza (quindi solo con uso di fonti rinnovabili e cogenerazione ad alto rendimento);
- l’autoproduzione ai sensi del decreto legislativo 79/99, vale a dire la produzione realizzata da una persona fisica o giuridica che la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante;
- il collegamento tra un centro di produzione ad un centro di consumo mediante una linea diretta, indipendentemente dal sistema di trasmissione e distribuzione.
La misura del decreto milleproroghe 2016 (DL 244/2016) – che stabilisce che le parti variabili degli oneri di sistema siano applicate solo sull’energia prelevata dalle reti pubbliche – costituisce già oggi uno strumento a sostegno dell’autoconsumo, nelle configurazioni consentite. Il criterio è stato re-introdotto anche allo scopo di contenere l’impatto dell’adeguamento alle disposizioni comunitarie delle Linee Guida su investimenti già effettuati.
Si ritiene che lo strumento dell’esenzione dal pagamento degli oneri sia idoneo per sostenere l’autoproduzione nel breve termine. Infatti, considerate le configurazioni attualmente realizzabili, si stima che lo sviluppo dell’autoproduzione (rinnovabile e cogenerazione ad alto rendimento) soprattutto nel settore domestico non determinerebbe, alle regole attuali, una crescita rilevante dell’area non soggetta al pagamento.
L’energia in sistemi privati e di autoproduzione, oggi stimabile in circa 30 TWh, potrebbe espandersi dell’ordine stimato in circa 10 TWh, senza ulteriori incentivazioni tariffarie ma contando sull’esenzione dalla quota variabile.
In ogni caso, poiché dovrà essere mantenuto l’equilibrio nei conti tariffari, sarà data assoluta priorità alla trasparenza sui beneficiari dell’esenzione e mantenuto uno stretto monitoraggio degli effetti dell’esenzione in relazione a possibili alterazioni della base imponibile.
Peraltro, lo spostamento di una parte del prelievo tariffario in potenza, già previsto nell’ambito del Piano di adeguamento alle Linee Guida approvato da Bruxelles per i clienti non domestici, rappresenta già uno strumento di breve termine per mantenere un’equa partecipazione di tutti alla copertura dei costi della transizione energetica.
La diffusione dell’autoconsumo sarà naturalmente favorita dall’evoluzione tecnologica, che rende disponibili sistemi di produzione e accumulo di taglia medio piccola, soprattutto a fonti rinnovabili e cogenerativi ad alto rendimento. Si tratta di un fenomeno da assecondare, attraverso politiche pubbliche abilitanti ispirate a criteri di efficienza, che consentano agli attori del mercato di organizzarsi. Pertanto, anche in considerazione del forte interesse verso tali configurazioni dovrà essere accelerata la regolazione dei nuovi assetti.
In proposito, un primo tema riguarda una compiuta definizione delle configurazioni di autoproduzione realizzabili e delle loro caratteristiche, tema che dovrà evidentemente tener conto degli esiti del dibattito ancora aperto a livello europeo.
In particolare, ci si attende che nel testo di nuova direttiva sia chiarito in che modo le nuove configurazioni si possano/debbano differenziare dai Sistemi di distribuzione chiusi ed eventualmente siano coordinate le varie definizioni in modo più chiaro e, inoltre, che si chiarisca se le forme di abilitazione o sostegno pubblico possano riferirsi solo a energie rinnovabili e cogenerazione ad alto rendimento o meno; operato questo primo discrimine basato sul tipo di generazione, la regolamentazione dovrà concentrarsi su temi quali la natura dei soggetti titolati alla realizzazione, i relativi obblighi in tema di sicurezza interna ed esterna alle configurazioni, i ruoli ed i diritti dei singoli consumatori interni ai sistemi di autoproduzione, le modalità di partecipazione ai mercati, i rapporti con DSO e TSO e, in generale, l’incisività dell’eventuale regolazione all’interno del sistema di autoproduzione e distribuzione di energia.
Nel breve termine e in attesa che si chiarisca e si consolidi il pacchetto comunitario, un approccio realistico e prudente consiste nell’utilizzare da subito la vigente normativa europea (direttiva 2009/72/CE) sui sistemi di distribuzione chiusi. La facoltà data da tale norma agli Stati membri è stata sinora utilizzata in parte, classificando come sistemi di distribuzione chiusi le reti interne di utenza e altri sistemi, comunque già esistenti e operativi.
In particolare, si ritiene opportuno utilizzare nuovamente questa facoltà, consentendo di realizzare, nel rispetto delle condizioni richiamate dalla direttiva, sistemi di distribuzione chiusi (o sistemi privati) limitatamente al caso di nuovi impianti alimentati da energia prodotta da fonti rinnovabili o da cogenerazione ad alto rendimento, anche integrati con sistemi di accumulo.
In tale fase, si manterrà l’attuale sistema di sostegno basato sull’esenzione dal pagamento della parte variabile degli oneri di sistema per la quota di energia autoconsumata. Ciò a condizione che gli impianti non beneficino di altri incentivi.
Nel medio-lungo termine, la forte crescita dell’autoconsumo al 2030, indotta anche dal pacchetto europeo, rende necessario ridefinire le modalità di partecipazione ai costi del sistema, considerando anche che, grazie all’ulteriore calo dei costi delle tecnologie, gli impianti dovrebbero avere minori esigenze di sostegno, anche quando realizzati all’interno delle comunità produttrici/consumatrici.
La fase sperimentale sui sistemi di distribuzione chiusi, di cui si è detto, potrà dunque consentire di mettere a punto alcuni degli strumenti necessari alla successiva implementazione delle norme in materia di nuove configurazioni di autoproduzione da energia rinnovabile, ma fornirà anche un quadro più chiaro sulle modalità più eque, e compatibili con le regole europee, per l’allocazione degli oneri di sistema, eventualmente introducendo nuove regole solo per le configurazioni di nuova realizzazione.
Va infatti precisato che, sebbene la Commissione abbia manifestato una opinione di compatibilità con le regole europee dell’attuale meccanismo nazionale di imposizione degli oneri, per altro verso la stessa Commissione, e anche l’agenzia dei regolatori europei, sembrano orientate verso l’adozione di incentivi espliciti.
Questo anche perché, come si diceva in precedenza, le nuove configurazioni possibili non sembrano vincolate, nella proposta della Commissione europea, a produzioni eco-compatibili (rinnovabili e CAR anche integrate con accumuli). Una diversa allocazione del pagamento degli oneri generali con maggiore compartecipazione delle configurazioni di autoconsumo, connesso con un incentivo esplicito, consentirebbe di indirizzare il sostegno verso configurazioni meritevoli e al contempo mantenere l’equilibrio della base imponibile agli oneri generali.
Resta invece da mantenere la partecipazione alla copertura degli oneri di rete per tutte le configurazioni che si collegano alla rete pubblica, con una regolazione che, a mano a mano che la rete pubblica riduce la funzione di trasmissione dell’energia e incrementa quella di sicurezza della fornitura, comporterà verosimilmente il progressivo spostamento dei relativi oneri in quota fissa. D’altronde, nel definire le tariffe di trasmissione e distribuzione, si dovrebbe tenere conto dei costi marginali risparmiati grazie alla generazione distribuita e ai servizi forniti con misure di gestione della domanda.
Poiché la SEN deve essere ancora approvata, sarebbe opportuno svolgere un’azione di pressione sulle istituzioni competenti, affinchè le CE diventino parte integrante della stessa.
14. ESEMPI INTERNAZIONALI DI CE
Certamente, in molti altri paesi, soprattutto quelli dell’Europa del nord, sulle CE sono molto piò avanti di noi. Spesso, non sussistono specifiche politiche per le CE e le Smart Grid, ma vi sono molte condizioni favorevoli alla loro costituzione, principalmente per quanto riguarda la componente elettrica, in genere in connessione con le FER, che sono più facilmente soggette alla produzione individuale e microproduzione; esse sono spesso fiscalmente incentivate e veicolano la costituzione di CE, in relazione alla tensione verso la sostenibilità ambientale.
Interessante, ad esempio, il caso della Germania. Nonostante (almeno fino al 2013) non disponga di un sistema espressamente incentivante di aggregazione in CE, la situazione contestuale favorisce il loro sviluppo, soprattutto per il ruolo chiave che giocano le FER in quel paese e l’attenzione della popolazione ai temi ambientali (la sicurezza energetica ed il cambiamento climatico sono temi sensibili e animano il dibattito politico). L’“Energiewende” (Strategia nazionale per la transizione della Germania verso un’economia sostenibile per mezzo di energie rinnovabili, efficienza energetica e sviluppo sostenibile) sta facendo sì che le fonti energetiche rinnovabili giochino un ruolo molto rilevante nella produzione nazionale di elettricità: 109 TWh nel 2013, il 20% dei consumi elettrici nazionali, mentre la produzione di calore da FER ammonta a circa 160 TWh (soddisfacendo l’11% dei consumi 2013). La “Legge riguardante misure per accelerare l’espansione delle reti”, aprile 2013, ha accresciuto l’attenzione istituzionale per le grid, con particolare attenzione verso le smart grid e circa il 50% delle proprietà delle FER è in mano alle comunità. Le Feed-in-tariff (una forma di incentivazione) per FER ha portato ad investimenti sostenuti che sono stari realizzati frequentemente mediante lo strumento delle CE (che, infatti, si costruiscono spontaneamente, dal basso, con aggregazione a progetti di produzione FER). Il contesto burocratico normativo è altresì particolarmente incentivante grazie ad una regolamentazione chiara che consente di costituire diversi livelli di comproprietà, nonché la regolamentazione dei profitti. I progetti solari ed eolici non possono essere negati, sebbene la loro localizzazione sia individuata dagli enti locali. Infine, vi è una forte spinta all’aggregazione di FER, anche su base geografica, favorendo lo sviluppo di distretti di produzioni a FER. Anche il sistema di accesso al credito e di finanziamento è particolarmente favorevole. La comunità di Neckarsulm è uno degli esempi più rilevanti: Neckarsulm è una piccola cittadina in Germania di 27.000 abitanti che vanta il sistema di storage stagionale più grande del mondo: un sistema di stoccaggio sotterraneo, che incamera acqua riscaldata da utilizzare per il riscaldamento domestico. La utility locale (Stadtwerke Neckarsulm) si è fatta promotrice del sistema, ottenendo un finanziamento dal progetto “Energy in minds”, finanziato sotto il programma CONCERTO (il programma CONCERTO è una importante iniziativa della Commissione Europea volta ad incoraggiare le comunità locali nello sviluppo di iniziative concrete verso la sostenibilità ed un’alta efficienza energetica) dell’Unione Europea.
Altro paese europeo dove lo sviluppo delle CE è molto avanti è la Danimarca (anche qui il regime di CE non è regolamentato, almeno fino al 2013), favorito da un interesse ed un know-how industriale (soprattutto sull’eolico) storico per le FER (11 TWh nel 2013, circa il 35% della produzione di elettricità) e la presenza di risorse energetiche distribuite; ciò incoraggia l’aggregazione, portando verso una produzione parcellizzata (al largo di Copenaghen, sorge il più grande progetto di proprietà cooperativa del mondo nell’eolico off-shore, Middelgrunden off-shore wind farm: 20 turbine da 2MW per un investimento iniziale da 48 mln €, posseduto al 50% da 10.000 investitori danesi della Middelgrunden Wind Turbine Cooperative e al 50% dalla municipalità e produce il 4% dell’energia elettrica consumata nella capitale).
Nel mercato del calore, la nazione nordica si contraddistingue per la costituzione di numerose heat community, sviluppate grazie al teleriscaldamento (in tutta la Danimarca, oltre il 60% del riscaldamento di acqua e ambienti è coperto da teleriscaldamento). Fondamentale è la presenza di incentivi sotto forma di feed-in-tariff e priorità di dispacciamento (ciò priorità di vendita dell’energia prodotta). Particolarmente interessante è il Renawable Energy Act che prevede che i costruttori di impianti eolici debbano offrire fino al 20% di quote a coloro che abitano entro 4,5 Km. Inoltre, sussiste la possibilità di trasferire il rischio di bilanciamento ad un terzo soggetto aggregatore. In Danimarca, i produttori di energia elettrica da piccoli impianti combinati (CHP, di potenza inferiore a 5MW) e da rinnovabili sono responsabili per il proprio rischio di bilanciamento. Sono cioè finanziariamente obbligati nei confronti del Trasmission System Operator – TSO (Energynet.dk, cioè il gestore della rete di trasporto nazionale), per ogni sbilanciamento nella produzione, nel consumo o nella vendita (cioè per ogni scostamento rispetto alla standard contrattuale, ossia brusche variazioni non programmate di produzione e\o consumo). Possono, però, firmare un contratto standard con un Balance Responsible Party – BRP, ovvero un’impresa (spesso un’impresa di vendita o la stessa Energynet.dk) che soddisfi i requisiti tecnici ed è chiamata a corrispondere dei risarcimenti prestabiliti per la produzione e il consumo, qualora le quantità prodotte/consumate siano eccedenti il contratto del prosumer di cui è responsabile. In pratica, i produttori sono sottoposti agli oneri da sbilanciamento, ma hanno accesso ad una sorta di mercato assicurativo e, in cambio di una quota fissa individuata da contratto, sono in grado di trasferire interamente il rischio di oscillazioni inattese nella produzione, nel consumo o nella vendita.
In Francia è stato attivato il progetto pilota GreenLys a Lione e Grenoble avente per promotori, tra gli altri, GDF Suez, coinvolgendo le rispettive municipalità al fine di creare una rete intelligente, interessando 1000 siti residenziali e 40 commerciali; esso ha come obiettivi la creazione di 2 piattaforme pilota a Grenoble e Lione entro il 2016, così da testare l’accettazione sociale e l’attrattività dell’offerta in condizioni reali e le relazioni tra Generazione Distribuita e Gestione della Domanda, così da proporre una possibile evoluzione regolatoria al fine di permettere alla Gestione della Domanda di creare il massimo valore per il sistema elettrico; in pratica, si tratta di valutare la sostenibilità economica per un’applicazione massiccia.
Infine, una delle esperienze più interessanti, è il Regno Unito. Esso ha finanziato un programma da 80 milioni di sterline, completato nel marzo 2015. Già all’inizio del 2014 esso aveva permesso di finanziare 9000 progetti di CE.
Da questa carrellata di esempi internazionali, si può concludere, pertanto, che i principali fattori che permettono sviluppo delle CE sono
- Sistema di finanziamento: Presenza di garanzia statale, capacità di valutare in modo integrato i costi dei progetti, accessibilità al credito per tali fattispecie.
- Capacità di Gestione della Distribuzione Diffusa: Adeguatezza delle infrastrutture (di trasmissione e regolazione) e dell’impianto normativo.
- Diffusione della Generazione Distribuita: Incidenza e capillarità della stessa.
- Quadro Normativo: Regole chiare che individuino responsabilità, sistema incentivante, ruolo delle Utilities, autorità locali e consumatori.
- Comunicazione e sensibilità dei cittadini: Capacità di usare le CE per superare il NIMBY e sensibilità di imprese e utenti sulla sostenibilità ambientale.
A differenza dei paesi esaminati, tutti questi fattori, in Italia, sono piuttosto indietro.
15. ASPETTI DI MERCATO DELLE CE
La sfida, affinché le CE possano diventare effettivamente un nuovo paradigma energetico per il nostro paese, passa attraverso una trasformazione del ruolo delle utility energetiche (ossia gli operatori del settore dell’Energia: ENEL, IREN, ecc.), i cui ricavi non dovranno più consistere prioritariamente nella vendita del bene (energia); esse si dovrebbero evolvere in aziende in grado di fornire, anche, servizi di accompagnamento delle CE, mettendo a disposizione il proprio know-how, sia sotto il profilo tecnico che normativo, finora applicato solo ai propri impianti e nella logistica della distribuzione: tecnologie ed economie di scala per la gestione di sistemi locali come quelli di una CE (divenendo delle ESCO: Energy Service Company), fornendo prestazioni ed efficienze altrimenti assai difficili da conseguire. Il loro ruolo dovrebbe progressivamente trasformarsi, da gestori diretti della produzione e della distribuzione, ad erogatori di servizi finalizzati allo sviluppo ed al supporto delle Comunità Energetiche, offrendo servizi per la costituzione, il controllo, l’informazione e la formazione in merito alle CE
Nonostante la prospettiva delle CE non sia qualcosa di immediato, i protagonisti del mercato energetico dovrebbero iniziare a configurare ed a sperimentare la loro offerta di mercato, in previsione del loro sviluppo. Per le utilities e per i distributori di energia tutto ciò costituisce una straordinaria opportunità di innovazione tecnologica e di mercato, essendo che il valore economico del loro prodotto principale, ossia la produzioni di energia, in forte declino.
Inoltre, una delle principali difficoltà alla diffusione delle CE è quello legato al finanziamento: l’intervento dell’ESCO potrebbe essere risolutivo anche in questo senso. In alternativa, si possono immaginare meccanismi di crowd funding. Del resto, la trasformazione strutturale della rete energetica (ossia, come già sottolineato, da un sistema di produzione centralizzato di alta potenza e distribuzione verso gli utenti finali, verso uno di generazione e un consumo distribuiti a base FER) richiede l’emergere di una nuova figura (che in altri paesi, come il Regno Unito, è già normata): l’Aggregatore che dovrà gestire le CE. Ovviamente, questa è, ancora una volta, un’opportunità soprattutto per gli operatori, se sono in grado di coglierla.
Una nuova normativa, inoltre, dovrebbe favorire l’efficienza energetica e l’innovazione tecnologica: la Smart Energy che può determinare un salto di qualità delle CE fornendo l’intelligenza e gli strumenti per evolvere le stesse da autoproduttori a soggetti che autoconsumano e si autopagano. Sarebbe anche opportuno un nuovo regime di incentivazione (l’esenzione dal pagamento degli oneri di sistema, oggi confermato dalla normativa per l’energia autoconsumata, è in realtà una forma di incentivazione indiretta), che ampli ed eventualmente vincoli quella oggi prevista per le FER alla costituzione di CE.
16. PROPOSTE DI INTERVENTI LEGISLATIVI E ISTITUZIONALI A FAVORE DELLO SVILUPPO DELLE COMUNITA’ ENERGETICHE LOCALI
Concludendo, sulla base dei ragionamenti dei paragrafi precedenti, si può affermare che le principali barriere alla diffusione delle C. E. in Italia, per lo più di natura economica, normativa, ma anche culturale, sono le seguenti:
- Scarsa sensibilità e conoscenza del tema.
- Difficoltà ad accettare un costo iniziale elevato a fronte di risparmi futuri e scarso appeal sociale del “prodotto” CE.
- Mancanza di un organico quadro regolatorio in materia, con innumerevoli fonti legislative parziali differenti.
- Di conseguenza, incertezza sulle forme giuridiche di aggregazione e sulla definizione di responsabilità esterne ed interne.
- Incertezza anche interpretativa della normativa relativa ai SEU e le Oil Free Zone, che ne rallenta lo sviluppo in modo significativo.
- Problematiche per il reperimento dei fondi: questi infatti devono spesso essere raccolti da diverse fonti, con relativa instabilità. In particolare si è di fronte ad una forte incertezza sulla presenza e l’assegnazione di incentivi e la scarsità delle ESCO (Energy Services Company) disponibili a cimentarsi in questo nuovo mercato.
- Carenza di figure professionali con conoscenza approfondita delle tecnologie e delle modalità di aggregazione delle CE.
Quale, dunque, può essere la strategia per favorire lo sviluppo delle CE in Italia? Vi sono molti ambiti rispetto ai quali sarebbe necessario intervenire per rendere possibili le CE. L’aspetto più importante è quello legislativo, in riferimento ai vincoli normativi, ma sono essenziali anche la possibilità di accedere al finanziamento e la nascita delle ESCO.
Ecco alcune proposte, che non hanno certamente la pretesa di essere eccessivamente dettagliate, complete e puntuali, ma che possano fornire spunti di ispirazione al legislatore:
- Nell’iter di approvazione finale della SEN, riservare un ruolo sostanziale alle CE all’interno della stessa SEN (al momento, il tema è appena accennato).
- Occorre un Testo Unico, specificamente dedicato alla regolamentazione ed allo sviluppo delle CE, che riprenda, sostituisca ed unifichi anche la legislazione frammentaria che, attualmente, regolamenta le forme normative assimilabili alle CE (SEU, SESU, RIU, Cooperative Energetiche, autoproduzione, Oil Free Zone, ecc.). Ecco le principali caratteristiche che tale intervento legislativo dovrebbe avere:
- Intervenire sull’ARERA affinchè lo scambio di energia fra utenti sia possibile senza dovere passare per la rete nazionale, anche per adeguarsi alle normative europee (questa è la principale priorità). Più in generale, razionalizzare le attuali reti di distribuzione (media e bassa tensione), rispetto ai percorsi e alla connessione “isola ad isola”, cioè alla connessione tra CE, facilitando in tal modo la trasmissione fra i vari poli e soggetti. Regolamentare il rapporto fra CE ed i gestori delle reti, così da razionalizzare, per fasi successive, la rete esistente in relazione alle esigenze di scambio, alle caratteristiche di produzione e consumo delle CE e alla loro collocazione geografica. Rendere le infrastrutture dell’energia elettrica idonee alla diffusione su larga scala delle energie rinnovabili. Chiarire le modalità di bilanciamento tra domanda e offerta di energia e servizi energetici, possibilmente esentando le reti private da oneri di sistema e di dispacciamento (nell’ottica europea dei Sistemi di Distribuzione Chiusi).
- Favorire l’evoluzione delle utility energetiche (ENEL, IREN, A2A, ACEA, ecc.) da semplici produttori e venditori di risorse energetiche a ESCO, che possano assumere su di sé il rischio dell’iniziativa, liberando il cliente finale da ogni onere organizzativo e di investimento, suddividendo i risparmi economici ottenuti fra la ESCO ed il cliente finale e che siano fornitrici di servizi e “know how” atti a favorire consulenza ed appoggio sia logistico sia economico per lo sviluppo di CE.
- Intervenire sul regime fiscale affinchè vengano (re-)introdotte forme di incentivazione verso le FER (contributi, sovvenzioni e altre forme di incentivazione economica) che possano essere almeno in parte legate allo sviluppo di CE e che le Utility Energetiche siano economicamente incentivate a trasformarsi in erogatori di servizi per le comunità energetiche. Introdurre strumenti come le Feed-in-tariff. Prevedere che i costruttori di impianti eolici debbano offrire una percentuale di quote a coloro che abitano entro una certa distanza dall’impianto (come in Danimarca). Inoltre, occorre dare ad un terzo soggetto aggregatore la possibilità di assumersi il rischio economico del bilanciamento.
- Incentivare la ricerca delle tecnologie abilitanti, in particolare quelle di stoccaggio.
- Precisare un livello di opportunità delle fonti rinnovabili, in modo che esse non possano essere portate ad avere impatti ambientali locali negativi: ad esempio escludere campi fotovoltaici posati a terra o, in generale, azioni che possano consumare nuovo suolo boschivo o agricolo (posarle solo su suolo già consumato) e, in ogni caso, limitare lo sfruttamento massiccio del patrimonio boschivo. Studiare le centraline idroelettriche su corsi d’acqua naturali, in modo tale che non provochino danni alla fauna ittica, ecc.
- Identificare chiaramente un ruolo di guida evitando confusione tra la funzione del gestore/partecipante alla CE e il ruolo di garante, in particolare esplicitare il compito che dovrebbe assumere ARERA rispetto alle “Comunità energetiche”.
- Creare una corsia privilegiata per la realizzazione di CE per le amministrazioni pubbliche (sulla scia di quanto già previsto dalla delibera 570/2012/R/efr che facilita la sperimentazione laddove le utenze siano enti pubblici sotto i 20.000 abitanti).
- Infine, giungere al più presto all’approvazione della Legge Regionale 271, ispirandola ai criteri appena esposti.
RICCARDO TASSONE
LUCA LIPPOLIS