Anche se con un po’ di ritardo, dovuto al fatto che ho avuto una settimana impegnativa, provo ad offrire qualche considerazione sull’esito del congresso nazionale del Partito Democratico.
1) Si è posta molta enfasi sul fatto che iscritti ed elettori abbiano operato scelte diverse. In realtà la questione è ancora più ampia e la porrei così: è la prima volta che un congresso dà come risultato un esito diverso da quello atteso. Nel PD i congressi si convocano quando si sa già chi sarà il vincitore! Questa, secondo me, è la maggiore novità del congresso 2023, ossia il fatto che ci sia stato un forte voto di opinione. Nel mio ruolo di scrutatore ai seggi, ho visto un grande numero di giovani che votavano, una cosa che fino a questo momento non era mai accaduto. Il fatto che gli iscritti si siano orientati in modo diverso, da questo punto di vista, non è sorprendente, né significativo: dobbiamo infatti ricordare che, a differenza di quanto possa dire qualcuno per questioni di convenienza (soprattutto fra i perdenti), il nocciolo degli iscritti non è composto da militanti o persone che si iscrivono al partito per convinzione; quelli certamente ci sono e sono quelli che hanno fatto funzionare la macchina delle primarie e dobbiamo ringraziarli, ma sono una piccola minoranza: gli iscritti sono in gran parte persone che si tesserano su richiesta di quello o quell’altro capocorrente e i capicorrente si sono orientati, come sempre, su quello che consideravano il cavallo vincente. Quanto accaduto domenica scorsa dimostra che esiste un voto di opinione nel centrosinistra, una massa di persone che probabilmente, nel passato recente, non ci ha votati, e che può essere mobilitato, se si usa la chiave giusta, e che si muove al di fuori di quelle che sono le dinamiche correntizie. Da questo punto di vista, l’attuale, assolutamente fallimentare classe dirigente del partito, che concepisce la politica soltanto come autoconservazione, mantenimento della propria posizione, che si caratterizza come governista, pragmatista, probabilmente non così ostile all’establishment economico-finanziario nazionale ed internazionale ha puntato su quello che credeva essere un profilo solido e rassicurante, ritenendo che l’elettorato del PD fosse uguale a se stesso, e su questo è stata pesantemente sconfessata, non capendo che l’elettorato era stufo e richiedeva qualcosa di completamente diverso.
2) L’altro aspetto notevole è il fatto che la componente post-renziana o, se preferite, quella che si definisce “riformista” (che io chiamo “di destra”) e che è la principale responsabile dei danni fatti in questo ultimo decennio è stata sconfitta, nel secondo congresso consecutivo. Questo ci dice che nell’elettorato di centro-sinistra c’è una fascia di elettori che non vogliono un partito di centro ma un partito di sinistra e quello è l’unico reale spazio elettorale che si può riconquistare, uno spazio formato da elettori di sinistra delusi, astensionisti ed in parte confluiti nel Movimento 5 Stelle. Da questo punto di vista, io non sono affatto d’accordo con chi dice che bisogna tenere unito il partito ed evitare scissioni: penso che chi è di destra non dovrebbe stare nel PD e prima se ne va, meglio sarà per lui e noi. Gli elettori di centro-sinistra hanno dimostrato che vogliono scelte nette e identitarie, su temi come giustizia sociale e soprattutto ambiente e cambiamento climatico. Bisogna stare da una parte sola e bisogna curare infine il partito dal “maanchismo” di veltroniana memoria, il liberismo, il centrismo, il vetero-capitalismo, lo sviluppismo, l’economicismo. Ci vuole un’identità precisa che deve essere di sinistra.
3) Non sono così ingenuo da credere che ora il correntismo e le dinamiche di potere che hanno comportato il disastro attuale scompariranno per magia. Credo che quello che occorra ora sia un maggiore rigore sulla selezione della classe dirigente, che deve essere scelta per morale, competenza e capacità e non solo per fedeltà e consenso come accade oggi (e come accaduto anche in Circoscrizione 8). Una riflessione andrebbe fatta anche a livello locale, il congresso regionale ha messo in luce ancora una volta la tendenza di questa classe dirigente al consociativismo e al voler decidere tutto fra pochi “illuminati”. Il congresso regionale unitario è stato l’ennesimo tragico errore. Si è voluto decidere tutto a priori, senza dare la possibilità di confrontarsi. Le liste, regionali e nazionali, anche quelle della mozione Schlein, sono state fatte nelle segrete stanze e sono state imbottite di notabili e soggetti che ti avrebbero fatto venire voglia di non votare proprio. Anche a livello locale, quindi, l’attuale classe dirigente dovrebbe fare una riflessione molto seria sulla concezione di politica solo come rapporto di potere, sperando che l’elettorato digerisca questa cosa all’infinito.
4) Sono curioso di vedere le “praterie” che il cosiddetto “terzo polo”, altro partito di destra, sostiene di avere davanti e mi preparo a rivolgere un “Ciaone” cosmico a Renzi e compagni.
5) La sfida che si prospetta a Elly Schlein è cosa da far tremare le vene e i polsi. Oggi, l’unico elemento che consente ad un partito di acquisire consenso è la credibilità della sua classe dirigente, in particolare del suo vertice.
Saprà essere all’altezza di questa sfida?
Saprà rinnovare davvero la classe dirigente?
Saprà inaugurare una stagione di scelte realmente democratiche?
Saprà spostare davvero il partito a sinistra e riconquistare quell’elettorato che abbiamo perso, nonostante la narrazione mediatico-politica liberista e pragmatista?
Saprà assumere decisioni non condivise dall’establishment economico finanziario nazionale ed internazionale?
Io non lo so, ma certamente quello che è successo domenica è un fatto nuovo e significativo.
Riccardo Tassone